sabato 23 febbraio 2013

Se il giornalismo storico-artistico non esiste più

Tomaso Montanari con questo articolo che prende spunto da presunte "novità" leonardesche mette il dito nella piaga segnalando come oggi il giornalismo culturale relativo all'arte tocchi il suo punto più basso. Tanta ed eccessiva attenzione per mostre (blockbuster) o per psude-attribuzioni (Caravaggio e Leonardo su tutti) ma poca voglia di andare a fondo ai problemi artistici, di criticare con competenza collettive ed esposizioni, di svolgere quell'azione di mediazione ormai fondamentale in una società che sta sempre più smarrendo il senso della propria storia artistica veicolata da manager ed esperti di comunicazione. Di giornalisti "artistici" ospitati sulle testate nazionali ce ne sono sempre di meno, anche se qualcuno ancora si salva: tra tutti mi sento di segnalare naturalmente Fabio Isman dalle pagine del Messaggero e di Art Dossier  e Simone Verde.

«Se dichiaro di aver visto a occhio nudo il Bosone di Higgs nel mio salotto, mi portano alla neuro: ma se il primo che passa sostiene di aver scoperto un Michelangelo, un Leonardo o un Caravaggio, il circo mediatico lo porta, immediatamente, in trionfo. Quando si parla di storia dell’arte tutto è possibile: in Italia il giornalismo storico-artistico è pressoché defunto, ed è ormai talmente abituato a concepire se stesso come il megafono celebrativo dei Grandi Eventi da non essere più in grado di distinguere una notizia da una bufala. […] La prossima volta che qualcuno si presenterà all’Ansa con cento terrecotte di Leonardo o cinquanta marmi di Michelangelo verrà dunque sottoposto a una qualche verifica? Tutto lascia credere di no: per la prossima bufala storico-artistica è solo questione di giorni».

Così scrivevo, ad agosto, nella premessa a La madre dei Caravaggio è sempre incinta. Non era una profezia difficile, ma si è realizzata al punto che potrei già aggiungere una nutrita appendice al libretto.

A fine settembre è spuntata una seconda Gioconda. La notizia è stata data da Silvano Vinceti, l’ormai celebre cercatore dei resti di Caravaggio, e di quelli di Monna Lisa (in carne e, appunto, ossa) nel complesso fiorentino di Sant’Orsola (un’operazione finanziata con i nostri soldi dalla Provincia di Firenze): «Si trova a San Pietroburgo ed appartiene ad un collezionista privato - ha spiegato Vinceti - sono già in corso tutte le perizie e le ricerche del caso per certificare che l’opera è stata realizzata da Leonardo». Dove trovo bellissima questa idea da Asl: ‘Per certificare i Leonardo prendete il bigliettino e mettetevi in fila allo sportello 4. Per il Santo Graal, invece, sportello 3. Precedenza a templari e donne incinte’. Inoppugnabili, d’altra parte, gli argomenti di Vinceti: «ha le mani più scure del viso, tratto tipico dello stile del maestro, che condividerebbe con l’originale custodito al Louvre». Ma potevate dirlo subito: e che dubbio rimane?!

Di qualche giorno, fa invece, è il rilancio di un’altra Monna Lisa: se ne sentiva la mancanza, no?

La terza Monna Lisa è stata affidata dai proprietari nientemeno che ad una Fondazione (The Mona Lisa Foundation, con sede a Zurigo), senza scopo di lucro (lei). Nel board e nei consulenti non si conta nemmeno un vero storico dell’arte, ma questo non impedisce alla Fondazione di avere le idee molto chiare sull’opera. Il sito del Guardian informa (senza un filo di ironia) che la Fondazione ha fatto esaminare l’opera da un esperto di «sacred geometry» (qualunque cosa sia!), e poi ha fatto condurre un analisi al carbonio 14 per datare l’opera. In un eccesso di zelo, l’analisi ha dimostrato «that it was almost certainly manufactured between 1410 and 1455». Cosa davvero stupefacente, visto che Leonardo è nato nel 1452. Certo, se uno crede alla ‘sacra geometria’ può anche credere al fatto che Leonardo abbia dipinto il quadro svizzero a tre anni: anzi, mi pare una scoperta destinata a rifondare la storia dell’arte.

La risposta più seria a tutto questo è la meravigliosa serie satirica sui Misteri di Leonardo che andava in onda in «Non perdiamoci di vista». Ma, dopo aver seppellito tutto ciò sotto la meritata coltre di ridicolo, non si può non pensare che se il patrimonio storico e artistico italiano è nello stato in cui è, lo si deve anche alla trasformazione della storia dell’arte in un gigantesco, grottesco, circo equestre.




E per gli amanti della Monna Lisa ho trovato su Wikipedia questa interessante pagina redatta con grande competenza e con molte citazioni di fonti:

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