sabato 11 febbraio 2012

Caravaggio, ancora due asterischi: La veste di Cappuccino e l’Humilitas

Dal nuovo sito della celebre e gloriosa rivista Storia dell'arte due asterischi di Maurizio Calvesi su Caravaggio, in ricordo dell'amico Maurizio Marini.


Come ben noto Orazio Gentileschi riferì il 14 settembre del 1603, nel processo Baglione, di aver dato in prestito al Caravaggio una «veste da capppuccino» che il Merisi trattenne presso di sé diverso tempo, per restituirla ai primi del mese in corso. La notizia ha indotto alcuni a datare in quell’anno il San Francesco di Cremona, che è indubbiamente più tardo di almeno quattro anni. L’ipotesi che l’indumento non servisse per ritrarre un modello vestito da frate, ma fosse una sorta di amuleto contro qualche malanno (proprio in quell’anno, come ho più volte supposto, il Caravaggio dovette imbattersi in qualche infermità o disgrazia) fu da me avanzata, considerato anche che Federico Borromeo spedì da Roma al fratello Renato, malato, una veste di cappuccino «morto molto santamente quest’ano», perché «si dice che il suo habito abbia fatto molte operazioni et è richiesto da ogni banda benché lontanissima, e il Padre Superiore de Capucini qua in Roma havendo inteso l’infermità del Signor Conte Renato me l’ha mandato»; e visto che lo stesso Gentileschi aveva chiesto in dono al Baglione delle “Madonnelle” di Loreto da portare attaccate al cappello, di valore devozionale e apotropaico. A molti questa può essere sembrata una forzatura male adattabile a un temperamento sprezzante e presunto “laico” come il Nostro, anche se qualcuno (un conoscitore del livello di Zuccari) l’ha trovata accettabile ed ha aggiunto validi argomenti in favore (1). Una conferma molto chiara sembra ora venire da una delle lettere di Artemisia Gentileschi e parenti o amici (e restiamo in famiglia) ritrovate da Francesco Solinas e pubblicate nello straordinario libretto e più avanti recensito (2). Pierantonio Stiattesi, il compiacente marito di Artemisia, scrive da Roma l’11 aprile 1620 a Francesco Maria Maringhi, che si trovava a Firenze: «In quanto alla vesta da Cappuccino, l’auta Lesandro Bardelli, però Vostra Signoria poterà dire al signore Neri Alberti che l’auta lui e se la potrà far rendere, e in parte dirgli della morte di Cristofano». Cristofano era il figlio di Artemisia, colpito da malattia a cinque anni e defunto. Evidentemente la veste da Cappuccino era stata richiesta al possessore, il poeta Neri Alberti, come talismano per esorcizzare la mortale malattia del povero ragazzo. Chiarito l’equivoco cadono le del resto già discusse datazioni al 1603 del San Francesco di Cremona, che era stato da alcuni collegato alla notizia del prestito della veste, mentre è di almeno quattro anni più tardo, o del forse ancor più tardo S. Francesco di Carpineto, o della copia romana, pur sempre in collegamento con la sudddetta notizia.

II

Spetta a Maurizio Marini una osservazione particolarmente acuta a proposito delle lettere vergate sulla lama che David brandisce con la destra, mentre con la sinistra regge per i capelli il capo reciso di Golia. Mi riferisco come ovvio al capolavoro della Galleria Borghese: le lettere sono H-AS-OS e non nascondono il nome dell’autore, come improbabilmente era stato supposto, ma il motto agostiniano: «Humilitas occidit Superbiam». Queste parole fanno parte di un brano dalle Enarrationes in Psalmos ( XXXIII, 4) che spiega anche il significato dato dal Santo all’evento: «In figura Christi David, sicut Goliath in figura diaboli: et quod David prostravit Goliam, Christus est qui occidit diabolum. Quid est autem Christus qui diabolum occidit? Humilitas occidit superbiam». Anche se già chi scrive (e dopo di me Hibbard) aveva richiamato il riferimento agostiniano a Cristo e al diavolo, la decrittazione cui è giunto il Marini resta una delle più affascinanti che io ricordi. Conferma la lettura iconologica, nonché l’importanza che Caravaggio (come del resto i pittori più impegnati) attribuiva alle Sacre Scritture e in particolare ai testi di Agostino. La critica ha cercato precedenti del gesto di David e della testa decapitata nella tradizione lombarda (Solario, Lotto). Secondo A. Moir (1982, p.555) «il Davide di Caravaggio assume la posa caratteristica delle allegorie della Giustizia, rappresentate sempre con la mano destra che impugna una spada, e la sinistra che regge, invece della testa, una bilancia». Un più preciso riscontro può essere fatto con un foglio dello Speculum Virginum della Stiftsbibliothek (HS 180) dell’abbazia di Zwettl (f. 45v) che raffigura il Trionfo dell’Humilitas e mostra una figura femminile in piedi, connotata dalla scritta Humilitas, che alza la spada contro la testa già in parte mozzata e sanguinante, testa connotata dalla scritta Superbia e tenuta per i capelli dall’ Umiltà. Sulla destra Giuditta decapita Oloferne, a sinistra Giaele uccide Sisara. Dunque la Humilitas che occidit Superbiam è il prototipo allegorico di ogni impresa che veda una vergine (o come nel caso di David uno sbarbatello) abbattere un tiranno. Un Ordine soppresso dopo il noto attentato a Carlo Borromeo, era da lui presieduto a Milano, l’Ordine degli Umiliati, che facevano voto di Umiltà e Carità. Forse il Merisi voleva anche mettere l’accento su un tema notoriamente caro ai Borromeo.

1) Alessandro Zuccari, Caravaggio controluce, Milano, 2011, p. 134 a proposito delle vesti miracolose di Fra’ Felice da Cantalice
2) Francesco Solinas (a cura di), Lettere di Artemisia, in collaborazione con Michele Nicolaci e Yuri Primarosa, De Luca Editore, Roma, 2011


(estratto da M. Calvesi, Caravaggio, ancora due asterischi: la veste di cappuccino e l’Humilitas, pubblicato nel volume n. 130, n.s. 30, settembre-dicembre 2011, pp. 39-40)

Nessun commento:

Posta un commento

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...