giovedì 14 luglio 2011

Breve storia della galleria La Tartaruga


La Tartaruga è una galleria storica romana, fondamentale per lo sviluppo dell'arte italiana nel secondo dopoguerra; da qui sono passati tutti i più grandi artisti; qui gli italiani, ancor prima degli americani, avevano inventato la pop art e facevano concorrenza all'egemonia culturale di oltre oceano. Poi sono arrivati i dollari di Leo Castelli e l'arte come arma di conquista. Un articolo su Il Mondo degli archivi di Sonia Grossi e Nora Santarelli ne ripercorre la storia.

Recentemente la Soprintendenza archivistica ha acquistato per l’Archivio di Stato di Latina, dopo un lungo e complesso iter, l’archivio della Galleria d’arte La Tartaruga, di proprietà di Plinio De Martiis.
L’archivio della galleria d’arte “La Tartaruga” documenta con buona continuità dal 1954 (data di nascita) sino agli anni ’90 la storia dell’arte contemporanea e non solo. Testimonia soprattutto la cultura degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta romana e italiana: in particolare, ruotava intorno alla Tartaruga tutta “la dolce vita” di quegli anni.
La galleria fu un luogo determinante per il rinnovamento artistico dell’Italia del dopoguerra, rinnovamento che ebbe tra la metà degli anni Cinquanta e la fine dei Sessanta la sua punta più avanzata proprio a Roma. Fu infatti a Roma che una comunità di artisti, già attivi nei decenni precedenti, in singolare posizione di dissidenza rispetto alle correnti ufficiali, si confrontò con straordinaria originalità con le generazioni più giovani e con i loro percorsi spesso divergenti. Questo confronto anche conflittualmente dialettico ebbe luogo in buona parte negli spazi della galleria La Tartaruga.
Plinio De Martiis e sua moglie Ninnì Pirandello aprirono la Tartaruga nel febbraio del 1954, spinti e incoraggiati dagli amici che frequentavano in quegli anni: Mafai, Turcato, Scarpitta, Maccari, Leoncillo. Il nome stesso della galleria fu una scelta condivisa con quegli artisti: proposto da Mino Maccari, fu estratto a sorte tra altri bigliettini dal cappello di Mafai.
Nelle intenzioni di Plinio quel locale di via del Babuino 196 doveva essere uno studio fotografico, poiché questa era la sua professione[1]. Divenne invece il luogo di ritrovo di artisti, poeti, letterati, critici, giornalisti, attori, registi, musicisti, collezionisti, galleristi e intellettuali di tutto il mondo, vale a dire di quanti hanno contribuito alla circolazione delle idee d’avanguardia a Roma.
Ad inaugurare la galleria fu una mostra di litografie di Daumier, alla quale seguirono numerose altre esposizioni di artisti affermati e di giovani emergenti, italiani e stranieri, tanto che, appena quattro anni dopo, allo scadere del decennio, la Tartaruga era in grado di contrassegnare, con l’instancabile impegno e la tenacia della sua attività, il panorama culturale di quelli che Plinio definì “gli anni originali”[2].
Dopo le mostre di Scarpitta nel 1955, dei Sette pittori romani nel 1956 con, tra gli altri, Dorazio, Perilli e Novelli, e quella di Afro, Burri e Scialoja, vennero nel 1957 gli esordi più memorabili, con le personali a Roma di Appel e Marca-Relli[3], di Asjer Jorn e Wols nel 1958 e, sempre in quello stesso anno, oltre alla collettiva Afro Capogrossi Consagra De Kooning Kline Marca-Relli Matta, le prime personali in Europa di Franz Kline e Cy Twombly.
Seguirono, l’anno dopo, la personale di Rauschenberg, la collettiva Giovane pittura di Roma con, tra gli altri, Rotella, Bignardi, Perilli, Novelli, Accardi, Sanfilippo e Scarpitta, la mostra Kline Rothko Scarpitta Twombly e, in collaborazione con la Galerie Aujourd’hui di Bruxelles, la mostra Novelli, Perilli, Twombly.
La Tartaruga è stata dunque la prima a presentare a Roma all’inizio del nuovo decennio l’arte americana, ma anche la migliore avanguardia italiana ed europea e, soprattutto, a creare una serie di legami e collaborazioni importanti con altre gallerie[4], musei, curatori e promotori d’arte contemporanea nel mondo, stabilendo percorsi preferenziali soprattutto con New York, grazie a Leo Castelli, ma anche con la Francia, l’Olanda e la Germania[5].
Il nuovo decennio si aprì all’insegna del “clima felice degli anni Sessanta” e la galleria si trasferì a piazza del Popolo[6] dove prese piede quel gruppo di giovani artisti, in seguito fu definito “ scuola di piazza del Popolo”.
All’esordio di Kounellis e alla prima personale a Roma di Brüning nel 1960, seguirono l’esordio di Schifano, quello di Giosetta Fioroni a Roma e la mostra di Castellani e Manzoni nel 1961.
Nel 1962 fu la volta della mostra collettiva La materia a Roma con Festa, Angeli e Schifano accanto a Burri e Rotella, nel 1963 quella dei 13 pittori a Roma con, tra gli altri, Mambor, Mauri e Tacchi, e la personale di Baruchello. Nel 1964, dopo la mostra Otto giovani pittori romani che presentò, tra gli altri, Lombardo, fu la volta di Ceroli, Rotella e Warhol, mentre nel 1966 venne inaugurata la prima personale in Italia di Richter, alla quale seguì la mostra collettiva Lichtenstein Raus. Seguirono l’esordio di Mattiacci nel 1967, mentre nel 1968 la personale di Warhol e Twombly precedette l’inaugurazione del Teatro delle mostre, ciclo di mostre giornaliere  inaugurato da Giosetta Fioroni, che trasformò la galleria in un laboratorio permanente. Un’occasione di incontro quotidiano fra gli artisti e il pubblico nello spirito di un diverso modello di esposizione e di rapporto con l’opera, a fronte della qualità più accentuatamente effimera che andava assumendo la produzione artistica di quegli anni.
Chiusero il decennio nel 1969 le mostre di Paolini e la selezione, intitolata Archivio, delle foto realizzate da Plinio, con la sua Rolleicord 6x6, dei protagonisti che avevano partecipato ai primi 15 anni di vita della Tartaruga,
Negli anni Settanta, dopo la scomparsa di Ninnì e le mostre del primo biennio[7], seguì una pausa di due anni (1972-1973). Quando la galleria riprese l’attività, concesse spazio soprattutto al teatro, al cinema, alla musica e alla poesia visiva[8].
Nel 1978, infine, con l’esordio di Piruca  la Tartaruga aprì la sua ultima grande stagione raccogliendo intorno a sé il gruppo dei “sei pittori” colti, poi definiti “Anacronisti” (Piruca, Abate, Di Stasio, Marrone, Panarello, Pizzi Cannella), ai quali si aggiunsero Ligas, Bulzatti e Gandolfi.
L’attività di Plinio, però, non terminò con la chiusura della galleria nel 1984, dopo le due retrospettive sulla “Scuola Romana” e sulla “Scuola di Piazza del Popolo” dell’anno prima. Proseguì, infatti, sul piano editoriale, con la pubblicazione di una nuova serie di Quaderni della Tartaruga[9], dal 1986 al 1993[10]. Si tratta di quaderni d’arte e letteratura, ispirati nel taglio editoriale e nel formato a “L’Italiano” di Longanesi, stampati una o due volte l’anno da De Luca Editore, con cui Plinio collaborava fin dagli anni storici.
L’attività editoriale è stata, infatti, per Plinio una costante parallela a quella espositiva, con i primi “Bollettini della Tartaruga” nel 1954, alcune monografie a tiratura limitata (Scarpitta nel 1958, Scialoja nel 1959 e Twombly nel 1961), i cataloghi, le locandine, i manifesti, gli inviti e l’intera produzione di quel vasto corpus di materiali tipografici che tanto amava e che oggi costituisce una parte importante dell’archivio cartaceo della Tartaruga.
Accanto all’attività tipografica, Plinio ha infine continuato a curare mostre in varie sedi e a promuovere i giovani artisti. Ha collaborato con la Galleria Netta Vespignani[11], dove ha presentato Promemoria nel 1989, Millenovecentosessanta nel 1990, Archivio. Fotografie di Plinio De Martiis nel 1993 e Per il clima felice degli anni Sessanta nel 1998, mostra, questa, già presentata a Castelluccio di Pienza, nuova sede espositiva della Tartaruga che Plinio inaugurò nel 1995 con Gli anni originali. Tra le altre collaborazioni importanti ricordiamo quella con la Galleria Niccoli di Parma per la mostra L’arte Pop in Italia nel 2000.
Nel 2003, infine, oltre alla mostra all’Istituto Nazionale per la Grafica inaugurata in occasione dell’acquisizione da parte della Calcografia dei cartelli della Tartaruga[12], tre importanti esposizioni resero omaggio a Plinio fotografo, Americani a Roma[13] allo Spazio Fendi, Piazza del Popolo e Premio Michetti in occasione del quale Duccio Trombadori, presidente di giuria, assegnò a Plinio de Martiis il premio alla carriera.
Già nel 1999 Plinio De Martiis aveva proposto l’acquisto del suo archivio all’Istituto della Grafica - Calcografia Nazionale, nonostante le richieste pervenute da altre Istituzioni e Fondazioni internazionali di grande rilevanza, quali la Guggheneim di New York. L’archivio comprendeva i cartelli autografi realizzati dagli artisti e presentati alla Galleria, cartoni,  pastelli, oli di vari autori, nonché l’archivio fotografico, composto a sua volta di ca. 5.000 negativi e positivi, scattati e stampati dallo stesso Plinio De Martiis nei primi anni Cinquanta e Sessanta, soprattutto ad amici intellettuali letterati, poeti e artisti.
Ma la trattativa non andò in porto del tutto e l’Istituto della Grafica acquisì solo una parte dell’archivio e cioè i cartelli, anche perché come afferma De Martiis in una sua lettera alla direttrice di quell’Istituto dell’ottobre 2002 “sono impaurito dai tempi d’attesa per me non affrontabili”[14]. La pratica per l’acquisto dell’archivio della galleria passò quindi alla DARC (Direzione Generale per l’Arte Contemporanea). Ci furono appelli all’allora ministro per i Beni Culturali, Giovanna Meandri, per non smembrare e disperdere il ricchissimo archivio della Tartaruga costituito non solo da  fotografie e cartelli, ma anche da carteggi, cataloghi di mostre, bozzetti, manifesti, ecc.
In seguito nel 2001 la pratica approdò alla Direzione Generale per gli Archivi e di conseguenza alla Sovrintendenza archivistica per il Lazio che nell’agosto 2003 dichiarava tutto il complesso archivistico conservato da Plinio De Martiis di notevole interesse storico e riproponeva l’acquisto all’Amministrazione. La trattativa è andata avanti a lungo per vari motivi, tra cui le scarse risorse economiche da parte dell’Amministrazione e l’iter burocratico che l’acquisizione da parte dello Stato comporta.
Plinio De Martiis moriva nel luglio 2004 senza aver avuto il piacere di vedere acquistato il suo complesso archivistico dallo Stato, verso cui la sua sensibilità si era rivolta, desiderando rendere pubblico e fruibile il proprio patrimonio culturale e artistico.
Succedevano le eredi, Paola e Caterina. Soprattutto quest’ultima aveva collaborato col padre al riordinamento dell’archivio, che lo stesso Plinio, ancora in vita  aveva conservato e inventariato, con cura e metodo, nella sua bella casa di Vignoni in Val d’Orcia, coadiuvata  dalla d.ssa Sonia Grossi, storica dell’arte contemporanea, che ha redatto un inventario e un indice dell’archivio, utili strumenti di corredo per la ricerca.
Il complesso documentario è assai ricco e consistente, frutto dell’attività poliedrica di un intellettuale  tra i più rappresentativi del mondo dell’arte contemporanea.
L’archivio si compone di materiale cartaceo (documentario e bibliografico), includente corrispondenza con artisti, critici, storici d’arte, letterati; cataloghi, locandine, manifesti, brochures; materiale a stampa e pubblicazioni varie; materiale fotografico e audiovisivo (interviste, filmati) nonché  materiale grafico. Un complesso documentario che costituisce un ricchissimo e inestimabile patrimonio che rientra a pieno titolo tra gli archivi del Novecento meritevoli di essere tutelati e valorizzati.


[1] Fu fotoreporter di varie riviste e diversi giornali, tra cui “L’Unità” e “Il Mondo”. Prima di aprire la galleria fotografò numerose immagini della realtà sociale dell’Italia del dopoguerra; in seguito documentò, con una serie straordinaria di ritratti in bianco e nero, il fermento vivo del panorama artistico e culturale romano degli anni Cinquanta e Sessanta e dunque anche la storia della sua galleria.
[2] Questo il titolo della mostra dedicata agli anni Cinquanta, la prima inaugurata nel 1995 a Castelluccio di Pienza, sede delle ultime esposizioni curate da Plinio fino al 2000.
[3] Sempre nel 1957 la Tartaruga inaugurò anche la prima personale di Ettore Colla.
[4] Tra quelle italiane ricordiamo le gallerie Apollinaire, dell’Ariete, L’Attico, Blu, de’ Foscherari, Lambert, Marconi, il Naviglio e Schwarz.
[5] Non vanno dimenticati, però, anche i rapporti che la Tartaruga ebbe con, tra gli altri, le gallerie Iris Clert e la Gallerie Brateau di Parigi, Martha Jackoson e Sonnabend di New York, con il Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, con Anne Abels a Colonia, con la Galerie Schmela, con lo Staatliche Kunsthalle di Baden Baden e molti altri.
[6] Le sedi della Tartaruga: via del Babuino 196 (1954-1963), piazza del Popolo 3 (1963-1970), via Principessa Clotilde 1/A (1970-1974), via Ripetta 22 (1974), via Pompeo Magno 6 (dic. 1974), via Pompeo Magno 6 /B (1975-1980), piazza Mignanelli 25 (1980-1984).
[7] Tra le altre ricordiamo quelle di Twombly, Festa, Castellani, Ceroli, Fioroni, Burri, Kounellis, Notargiacomo, Agnetti Ceroli.
[8] Tra le manifestazioni più importanti ricordiamo: Una favola di Alberto Boatto con musiche di Sylvano Bussotti e tavole di Giosetta Fioroni nel 1974; Smettete di giocare nella strada, azione scenica e pittorica di Aglioti e Perlini, il concerto di Mosconi, la collettiva Parlare e scrivere curata da Barilli, Camera 3, tre films in super8 di Barzini, Carini, Miscuglio, Corpus Scripsit, quattro giorni di poesia a cura di Nanni Cagnone e il concerto Nuove forme sonore nel 1975; nel 1977 i films di Barzini e Taylor Mead, e il Laboratorio di poesia”, curato da Elio Pagliarani e replicato nel 1978.
[9] Nel 1984 la Tartaruga, infatti, aveva già pubblicato tre Quaderni di cui due monografici, dedicati a Bulzatti (Quaderno n. 2, febbraio 1984) e Pirica (Quaderno n. 3, marzo 1984).
[10] Con una nuova sede in via Passeggiata di Ripetta 19 (1986-1988) e in via di S. Anna 18 (1988-1993).
[11] Tra le altre ricordiamo le mostre Promemoria nel 1989 e Millenovecentosessanta nel 1990.
[12] Raccolta di opere su carta (cm 50 x 60) realizzate con materiali e tecniche varie, che Plinio fece eseguire agli artisti in occasione delle loro mostre come “cartelli” segnaletici delle esposizioni e che venivano esposti in una bacheca all’ingresso della galleria, per circa una decina d’anni, tra il 1950 e il 1962. Tale prassi fu ripresa, in seguito, in occasione del Teatro delle mostre.
[13] Con la galleria di ritratti dei pittori americani: Twombly, Rauschenberg, De Kooning, Marca-Relli.
[14] Cfr. fascicolo. “La Tartaruga” presso l’archivio della Sovrintendenza del Lazio

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