giovedì 30 giugno 2011

The Museum of Me e la fine della curatela

L'intel ha sviluppato un'applicazione per facebook che, partendo dalle immagini, contatti, video e messaggi presenti nel vostro account realizza una vera e propria esibizione delle vostre notizie. Si chiama The Museum of Me. Cose già fatte ma il bello del programma è l'ambientazione in un vero e proprio "museo del '900" come anche la linea curatoriale in accordo con le ultime tendenze (pareti bianche, luce diffusa o ambienti scuri, installazioni video, allestimento minimale). Una vera e propria esperienza che dura circa 3 minuti, il tempo di scorrere, col filmato, nelle varie sale del museo per osservare la vostra vita musealizzata. Quello che colpisce è la gradevolezza della mostra in quanto, ad un occhio attento, ripropone forme di allestimento già viste con i classici enormi ambienti asettici. Il problema del sistema dell'arte contemporanea, allora, è che siamo arrivati ad un tal punto di standardizzazione che una mostra può essere realizzata da algoritmi risultando verosimile e piacevole. Per non parlare del messaggio di fondo insito nell'applicazione, ovvero dell'esposizione di se stessi in quanto opere d'arte e con qualcosa di interessante da dire al di la di tutto. Non contano qui i 15 minuti di notorietà di Wahrol ma la vita come opera di Duchamp. Esibire tutto è un modo per non mostrare nulla e per eliminare i valori dal metro di giudizio. Il fatto che ognuno possa entrare in un museo, senza aver fatto nulla, è proprio il sistema che muove l'arte di oggi.

Interessante questa riflessione su ninjamarketing


venerdì 24 giugno 2011

Il Correggio Vaticano - storia di un originale

Il 27 giugno prossimo, alle ore 11.30, presso la Sala Conferenze dei Musei Vaticani verranno presentati alla stampa i frutti di un lavoro di alcuni anni che ha portato al riconoscimento dell’autenticità di un’opera del Correggio.Si tratta della cimasa del Trittico detto “Trittico dell’Umanità di Cristo”, che è conservata proprio nei Musei Vaticani. Alla conferenza stampa interverranno: Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani; Giovanni Orlandi, Presidente della Fondazione Il Correggio; la storica dell'arte Margherita Fontanesi; l'architetto Gianluca Nicolini; Rodolfo Papa, docente della Pontificia Università Urbaniana di Roma; Ulderico Santamaria e Fabio Morresi, del Laboratorio Scientifico dei Museri Vaticani; e Claudio Rossi de Gasperis, restauratore dei Musei Vaticani.



CRISTO IN GLORIA TRA CHERUBINI (IL REDENTORE) trittico dell'umanità da corregioarthome



Il giorno 27 giugno sono stati presentati alla stampa i frutti di un lavoro di alcuni anni che ha portato al riconoscimento dell’autenticità di un’opera di Antonio Allegri detto il Correggio, conservata ai Musei Vaticani. Si tratta della cimasa del Trittico detto “Trittico dell’Umanità di Cristo”. L’ancona in cui si inseriva il trittico ospitava, nella nicchia centrale, una pregevolissima statua in terracotta policroma raffigurante la Madonna con il Bambino attribuita da Giancarlo Gentilini a Desiderio da Settignano. Ai lati della scultura trovavano posto due tele oggi disperse, sempre del Correggio, raffiguranti san Giovanni Battista e san Bartolomeo. In alto, in linea con la scultura Il Creatore fra cherubini sull’iride, concludeva il gruppo. L’opera era stata commissionata dalla Confraternita della Divina Misericordia per la chiesa di Santa Maria della Misericordia a Correggio. L’opera aveva subito nel tempo uno smembramento e la cimasa, conservata ai Musei Vaticani, era finora ritenuta una copia seicentesca; molti dubbi, inoltre, sollevava l’iconografia del soggetto.
Alla conferenza stampa ha presentato la sua autorevole relazione anche il prof. Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani.
Gli studi e le ricerche sono stati diretti e coordinati dalla Fondazione “Il Correggio”, con l’indispensabile collaborazione del Laboratorio di Diagnostica per la Conservazione ed il Restauro dei Musei Vaticani, in modo particolare del prof. Ulderico Santamaria. Il Laboratorio ha realizzato una serie di indagini non invasive sull’opera che hanno attestato che si tratta di una tela cinquecentesca e che non si tratta di una copia (la presenza di ripensamenti è la maggiore conferma a tal fine).
Il percorso ha visto la collaborazione di più studiosi con competenze diverse, in modo particolare: Gianluca Nicolini per l’analisi documentaria; Margherita Fontanesi, per l’analisi stilistica; Claudio Rossi de Gasperis (che ha restaurato l’opera) per l’analisi della tecnica pittorica; io, Rodolfo Papa, per l’analisi iconografica ed iconologica.
Il mio contributo all’interpretazione della cimasa conservata ai Musei Vaticani, a favore della sua originalità, è, infatti, soprattutto di ordine iconografico ed iconologico, come è ampiamente ricostruito nel testo Lettura iconologica del Trittico, da me pubblicato nel catalogo della Mostra “Il Correggio a Correggio” (pp. 124-143). I miei studi si sono concentrati sulla interpretazione dei documenti e soprattutto sull’analisi iconologico contestuale dell’opera. Importantissima è stata la ricognizione diretta dell’opera, avvenuta il 5 agosto 2008, insieme a Giuseppe Adani, Gianluca Nicolini, Nadia Stefanel, Renza Bolognesi. L’analisi approfondita e diretta dell’opera conservata ai Musei Vaticani fornisce, infatti, numerosi elementi per convincere che l’opera è proprio l’originale e non una “copia coeva”. Peraltro, dai documenti non risulta essere mai stata effettuata una copia nel Cinquecento, e sappiamo che l’unica copia documentata sia stata eseguita intorno al periodo di vendita degli originali, risalente al 1613.
Dai documenti emergono due ordini di problemi: la cimasa viene chiamata dal vescovo di Reggio, Claudio Rangoni, come “tabula” e, inoltre, in vari documenti viene denominata e descritta in modi diversi. Quanto al primo problema, il termine latino “tabula, -ae” indica semplicemente un “dipinto”, senza dare ragione del supporto. Il secondo problema, cioè le differenti denominazioni, richiede invece maggiore attenzione. Nell’atto notarile di stima del valore commerciale delle opere redatto dal pittore Jacopo Borbone si parla di una tela raffigurante il “Signore Dio Padre”; mentre il già citato vescovo Rangoni la chiama “Cristo”; nel libro mastro della Confraternita, è registrata con il titolo «l’Umanità di Cristo ascendente in cielo». Di fronte a questa diversità di descrizioni e titolazioni dell’opera, dobbiamo interrogare direttamente le opere che sono conservate e lavorare indirettamente sulle repliche a stampa. La replica ad acquaforte realizzata da Giuseppe Asioli nel 1816, lavorata - come egli stesso scrive anche in epigrafe - direttamente dall’“originale”, si manifesta come del tutto conforme alla tela conservata nei Musei Vaticani. Si nota in entrambe le opere infatti, innanzitutto, l’assenza dei segni della passione dalle mani, dai piedi e dal costato di Cristo, inoltre una pressoché totale conformità nelle pieghe dei panneggi, nella posa delle braccia e nel gruppo degli angeli, e una totale coincidenza nelle misure complessive del dipinto.
Il dipinto presenta alcune difficoltà iconografiche e alcuni complessi rimandi teologici: sembrerebbe che la figura dipinta da Correggio non si adatti a nessuna tipologia iconografica –Cristo benedicente, Cristo in Pietà, Cristo Risorto, Cristo Giudice –. Per comprenderne il senso e il significato, occorre affrontare l’economia teologica e compositiva dell’intera ancona,comprendente il gruppo statuario della Vergine con il Bambino.
A questo fine, sono importanti due confronti; il primo confronto è da istituire tra la cimasa del nostro Trittico e la tavola di Cristo Redentore fra la Vergine e san Giovanni Battista, con i santi Paolo e Catarina d’Alessandria, dipinta, intorno al 1520, a tempera grassa da Giulio Romano, per il Convento benedettino femminile di San Paolo a Parma, su commissione della badessa Giovanna da Parma e oggi conservata nella Galleria Nazionale di Parma. Il secondo confronto è con il dipinto su tela raffigurante Cristo in Gloria tra i san Pietro e san Giovanni Evangelista, con i santi Maria Maddalena, Ermenegildo e Odoardo d’Inghilterra con il committente Odoardo Farnese, realizzato da Annibale Carracci intorno al 1600 circa, e conservato oggi nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze,
La tela dipinta dal Correggio, anche se mantiene una composizione affine a queste due opere, si discosta in maniera sostanziale, perché le braccia e le mani sono rappresentate in una posizione inconsueta nella tradizione iconografica della figura di Cristo, e non mostrano i segni inferti dai chiodi nel momento della crocifissione. Infatti, le fattezze giovanili del volto, il busto e perfino la posa delle gambe rispondono completamente alla tradizionale iconografia di Gesù Cristo, ma la posizione delle braccia e delle mani è invece inconsueta. Proprio per questo motivo, a mio avviso, Jacopo Borbone e il vescovo Rangoni chiamano in maniera diversa questa tela, perché entrambi sono attirati da particolari diversi e diversamente interpretabili: il volto è di Cristo, ma la posizione delle braccia è di Dio Padre Onnipotente. Indipendentemente da una soluzione di tipo formale alla questione della composizione, si rivela allora la necessità del livello di analisi proprio dell’iconologia che, attraverso l’analisi di opere affini precedenti o coeve, dia ragione iconografica e teologica di tale peculiarità.
Una comprensione, gradualmente acquisita nel nostro percorso comparativo, è che il Trittico, per le sue proprie caratteristiche d’impianto compositivo, e ancor più l’insieme dell’intera anconadell’altare maggiore della chiesa di Santa Maria della Misericordia, appartengono a quel tipo di opere che tendono più all’astrazione mistico-teologica e contemplativa, che al dato narrativo.
In questa prospettiva, analizziamo un classico dell’arte sacra di genere mistico-contemplativo, ovvero la Natività mistica del carmelitano fra’ Filippo Lippi, realizzata nel 1445 circa per la famiglia Medici, oggi conservata alla Gemäldegalerie di Berlino; quest’opera si propone come una meditazione sul tema dell’Incarnazione, ponendo al centro il gruppo di Maria e di Gesù Bambino, secondo l’importantissima tradizione mistica mutuata direttamente dalle Rivelazioni di santa Brigida di Svezia e, parallelamente, dal misticismo fiorentino dei domenicani beato Giovanni Dominici e sant’Antonino Pierozzi.
Inoltre, nella Madonna dell’Umiltà di Jacobello del Fiore la figura di Dio Padre apre le braccia in una posizione che ricorda molto da vicino la figura della cimasa del nostro Trittico. Tale positura delle braccia e delle mani rimanda direttamente, ancora una volta, ad un modello tipologico-iconografico che è quello di Dio Creatore, come possiamo vedere per esempio nell’affresco dellaCreazione del mondo realizzato nel 1288 da Jacopo Torriti nella Basilica di Assisi, in cui il volto del Creatore è in realtà quello di Cristo. Del resto questo aspetto iconografico è derivato da una lunghissima tradizione che, riposando sulle Scritture e sulla loro interpretazione autorevole da parte dei Padri della Chiesa e dei teologi nel corso dei secoli, ha prodotto innumerevoli immagini per il culto e la contemplazione. Un esempio chiarificatore più antico di un secolo rispetto agli affreschi assisiati di Torriti, è rintracciabile nelle miniature del Folio I del Salterio di Canterbury,in cuici imbattiamo in una vera e propria confessione di fede nel Cristo Cosmico, in cui creazione e salvezza sono poste in relazione diretta nella persona di Cristo, attraverso un percorso di dodici miniature allineate e affiancate nella medesima pagina. Cristo è il volto della Trinità, riquadro dopo riquadro.
Un simile impianto teologico-iconografico è rappresentato, alla fine del XIV secolo, nel famosissimo affresco dell’Universo sostenuto da Dio con i simboli dei pianeti, opera di Pietro di Pucci da Orvieto, nel Camposanto di Pisa, dove il Cristo Cosmico letteralmente crea e regge tutto il Creato; solo il volto e le mani sono visibili, ma si intuisce facilmente che la braccia sono allargate appunto ad abbracciare l’intero Universo.
Ritengo, dunque, che la tela di Correggio rappresenti la divinità del Verbo nell’accezione più alta.
Il significato di tutto l’insieme liturgico e teologico dell’altare maggiore della chiesa di santa Maria della Misericordia si illumina e illumina le finalità della Confraternita, che univa i precetti caritativi alle opere di misericordia corporale e spirituale, curando il malato, educandolo alla fede, confortandolo, provvedendo alle sue necessità e offrendo giuste esequie e degna sepoltura ai defunti.
Tale significato, a mio avviso, ha al centro il Verbo che, presente e agente fin da principio nella Creazione del mondo, fattosi carne nel ventre della Santissima Vergine Maria, morto e risorto, avendo riconciliato il cielo con la terra, abbraccia e accoglie tutta l’umanità che a Lui guarda con fede e Lo riconosce come Figlio di Dio, chiamando a Sé quanti nella vita hanno in Suo nome amato il prossimo in virtù dell’infinita misericordia di Dio Padre Onnipotente, proprio come i membri della Confraternita per la quale Correggio inventò questa complessa immagine.
Considerando anche che nel complesso dell’opera, la rappresentazione di Maria appare come una sovrapposizione della iconografia della Vergine con il Bambino e di quella della Madonna della Misericordia (che accoglie tutti sotto il suo mantello aperto), ipotizzo che il giusto ed appropriato nome del Trittico sia Trittico della Misericordia Divina.

martedì 21 giugno 2011

Il doodle di Murakami

Il doodle è il logo di google che viene personalizzato per particolari ricorrenze; ultimamente ne stanno uscendo di veramente simpatici e questo, realizzato per l'ingresso dell'estate, è stato creato appositamente da Takashi Murakami. In basso altri esempi dedicati a Brancusi, Hokusai, Mirò, Picasso, Cezanne, Van Gogh ed altri artisti facilmente riconoscibili. Da questo link, invece, si possono trovare tutti i doodle realizzati fin'ora.


lunedì 20 giugno 2011

La fine dei conoscitori?

Da qualche giorno google immagini permette una cosa utilissima, la ricerca della fonte partendo dall'immagine. Basta andare sul portale, aprire il logo nella barra e caricare il file del quale volete sapere delle informazioni. Ho provato con qualche particolare di opere d'arte, tipo del Bernini, e puntualmente il programma mi ha saputo ricondurre all'opera corrispondente o ha avanzato ipotesi puntuali. Come un moderno Cavalcaselle ho fatto anche la prova dell'orecchio, col particolare tratto dal ritratto di Bindo Altoviti di Raffaello e il risultato è stato perfetto. Può essere un utile strumento o la fine, definitiva, della figura del conoscitore?
E girando ho trovato anche quest'altro sito http://www.tineye.com/

martedì 14 giugno 2011

Alcune precisazioni sul Parnaso di Appiani


Ecco il Parnaso di Andrea Appiani del 1811, presso la galleria d'arte moderna di Milano, debitore al celebre Parnaso di Raffaello e massima sintesi dell'ideale neoclassico. Ed ecco il premier Berlusconi che ci ironizza sopra vedendoci un Bunga Bunga. Banalità del potere, di chi adopera l'arte come propaganda ma non riesce, neanche minimamente, a provare quell'empatia o un minimo di godimento estetico. Di certo malato, capace di riattaccare i peni alla statue classiche, come moderno "Braghettone" al contrario, per poi coprire il seno della Verità del Tiepolo in tempi ancor non sospetti di orge e Olgettine. Nella sua prospettiva sessuofobica e maschilista, che non riesce a eliminare la malizia da un giudizio esclusivo sull'opera, ogni figura, privata della sua carica morale, diventa elemento godereccio che si presta alla seduzione non dell'occhio ma del corpo. Queste righe, trovate su facebook, sono le più adatte a commentare l'ennesima umiliazione dell'arte.

Sig. Berlusconi,
Lasci che le spieghi tre cose, ché quattro sarebbero già troppe...

1) Questo è un affresco. Il signore che l'ha dipinto si sta rivoltando nella tomba, e il signore ritratto lì in centro la sta maledicendo in Greco Antico. Farebbe meglio a fare tutti gli scongiuri del caso.

2) Vede quelle belle donne intorno all'uomo che sta al centro? Si chiamano Calliope, Polimnia, Melpomene, Talia, Tersicore, Clio, Euterpe, Erato, Urania. Non Ruby e Noemi. Il signore al centro non le ha pagate 3000 euro per stare lì una sera. Non sculettano su cubi in mezzo al suo salotto. E oltre a fare l'amore, conoscono l'arte, il teatro, la danza, la musica, conoscono la Bellezza, quella che lei non si è mai preso la briga di cercare, conoscono l'inganno e la verità, entrambi più raffinati dei suoi, e conoscono profondità e altezze dell'uomo e del mondo. Lei, se lo lasci dire, donne così non ne ha mai viste in vita sua, e non se le sogna neppure: non basterebbero tutte le sue ville a comprarle.

3) Vede il signore al centro? Si chiama Apollo. Non è nudo perché è pronto al Bunga Bunga, è nudo perché non ha nulla da nascondere. E' nudo perché conosce la Verità. E non si illuda, non basteranno milioni di trapianti e ritocchini per farla somigliare a Lui. Neanche nella proporzione greca tra le dita del piede destro.
E vede quella cosa che ha in mano? Si chiama lira. Se la mettessero in mano a lei dopo che è stato immerso tre volte nelle acque della fonte Ippocrene, al massimo canterebbe qualcosa di Gigi d'Alessio, o le gesta di quel Musulmano e quell'Ebreo e quel comunista che... Quindi, SI faccia un piacere: non induca a fare certi confronti.

lunedì 13 giugno 2011

Il Sant'Agostino nello studio di Caravaggio

Continuano le scoperte e le attribuzioni al Caravaggio. E' la volta del "Sant'Agostino nello studio" dalla Collezione Giustiniani: «Un quadro di una mezza figura di S. Agostino dipinto in tela alta palmi 5 e mezzo e largo 4 e mezzo incirca, di mano di Michelangelo da Caravaggio con sua cornice negra ».

A darne notizia sulle pagine della "Domenica" del Sole 24 Ore in edicola il 12 giugno, con tutti gli approfondimenti, è la storica dell'arte Silvia Danesi Squarzina, massima esperta della Collezione Giustiniani di Roma. Il dipinto ritrovato infatti - un olio su tela raffigurante "Sant'Agostino nello studio" - corrisponde esettamente al quadro commissionato a Caravaggio dal marchese-collezionista Vincenzo Giustiniani che lo fece schedare come opera del Merisi nell'inventario di Casa redatto nel 1638. Il dipinto rimase per secoli nelle collezioni romane dei Giustiniani (tutti gli inventari lo citano con precisione), fino a che, a metà Ottocento, la tela finì a Pantaleo Giustiniani Recanelli, erede di tutti i beni dei Giustiniani, palazzo di Roma compreso. Costui vendette il quadro a un collezionista spagnolo, il quale, a sia volta fece una cosa importantissima: sul retro del dipinto appose una targhetta nella quale ricordò (in spagnolo) da dove proveniva il quadro, vale a dire dalla Casa Recanelli di via del Governo Vecchio, cioè da Palazzo Giustiniani in Roma. Prova questa dell'illustre provenienza dell'opera. (sole 24 Ore).

Qui, invece, la risposta di Sgarbi dal Giornale che considera l'attribuzione un abbaglio.

Su Arcadja, invece, i commenti di Maurizio Marini e Nicola Spinoza; anche loro non accettano l'attribuzione optando verso Bartolomeo Cavarozzi.

Un articolo più dettagliato circa i Caravaggio Giustiniani

E di seguito due Sant'Agostino di influenza caravaggesca, il primo di Cecco del Caravaggio e il secondo di Mattia Preti.




venerdì 10 giugno 2011

Tutto il resto è noia

Breve e lucida analisi del critico Boris Brollo sul Padiglione Italia alla Biennale di Venezia.


In questa mostra italica dell’Arte non è cosa nostra la figura del critico d’arte viene spogliata del suo sapere e consegnata a componenti diversi della società civile come: poeti, letterati, artisti stessi, intellettuali, filosofi, attori etc. etc.. Tutti costoro hanno segnalato un loro “protetto” , o meglio ancora: artista preferito. E’ quindi obiettabile, la scelta, sul piano della ragione nel senso che questi non sono degli esperti, ma non è detto che ciò sia un male anzi, a volte, un occhio diverso segna fortemente una figura che diversamente sarebbe trascurata. E seppur non è un male sappiamo che non sempre la scelta di gente esterna alla materia segnala operatori di qualità. Ma tutto ciò sa di “rivoluzione culturale maoista” sulla quale in parte si concorda sul piano teorico, ma scendendo sul pratico la mostra del Padiglione Italia pur partendo da un’idea brillante si disarticola in una confusione di prodotti anche interessanti però persi dentro una marea di produzione pacchiana, illustrativa e senza nervo. Dà l’idea di una mostra vissuta per interposta persona, senza un fulcro, una tesi, un centro, bensì pare di trovarsi in una fiera dello stesso prodotto dove non c’è un’idea centrale ma un accrossage. La mostra presenta due punti deboli sostanziali : una confusione artistica che abbassa la qualità del tutto, al di là delle buone intenzioni. L’altra: una deregolazione della responsabilità di un pensiero portante che desse l’idea di quel che succede oggi e non di quel che si trova oggi in Italia. Se c’era da dimostrare agli altri che questo è un Paese confuso, allora ci siamo riusciti perfettamente. E non essendo questo un momento di transizione non c’è nemmeno da attendere uno schiarirsi della situazione per cui dove siamo e come siamo presi significa soltanto che siamo indietro come gusto comune, mentre abbiamo energie per essere al passo degli altri padiglioni. Ciò ha un solo significato che abbiamo sbagliato Direttore del Padiglione Italia. Nonostante ci siano in mostra artisti come Jannis Kounellis, Vanessa Beecroft, Maurizio Cattelan, Enzo Cucchi. Fra l’altro penosa l’immagine dell’Italia di Gaetano Pesce crocifissa per chi di noi ha visto quella appesa a rovescio ( San Pietro docet per umiltà) di Luciano Fabbro in Piazza Plebiscito a Napoli e nella altre mostre sull’Arte Povera di Germano Celant. Come penosi i tentativi dei nostri italici pittori nell’emulare per blasfemìa il visionario simbolismo della Pietas di Jan Fabre alla Scuola della Misericordia. Purtroppo il nostro difetto nazionale è di avere un piccolo pensiero dentro una grande storia, mentre gli altri hanno un grande pensiero per una loro piccola storia nazionale. E quindi ,in conclusione, a parte qualche Autore già noto tutto il resto – come c’insegna il buon Califano – è Noia!

Per i 25 anni di Art e Dossier

martedì 7 giugno 2011

Il parcheggio che deturperà via Giulia

Via Giulia è una delle strade più belle di Roma, uno di quei posti magici che per un sottile equilibrio, anche essendo al centro dell'abitato, mantiengono un carattere ristretto e domestico e un'atmosfera tutta particolare. La via fu progettata e realizzata solo in parte da papa Giulio II - dal quale prese il nome - allo scopo di aprire un nuovo percorso nel cuore di Roma. Corre da Ponte Sisto alla chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, parallela al corso del Tevere. Ponte Sisto, costruito per ordine dipapa Sisto IV ed aperto nel 1475, è stato l'unico ponte sul Tevere ad essere costruito tra la caduta dell'Impero ed il XIX secolo. Divenne la via più alla moda con i nuovi edifici dei mercanti e banchieri e con la presenza della comunità fiorentina, con le sue case, le sue chiese, le sue confraternite. Attualmente è una delle strade di lusso di Roma. La sua storia inizia nel 1508, come uno dei punti del programma di Giulio II per il rinnovamento di Roma e la creazione di una monarchia assoluta dello Stato Pontificio, che doveva ottenere il suo giusto ruolo tra le potenze europee. Per liberare il papato dalla dipendenza dalle grandi famiglie romane, si rivolse ai banchieri toscani, fuori dal circuito sia degli Orsini che deiColonna, ed in particolare a Agostino Chigi, giunto da poco da Siena. Una parte importante del progetto globale di Giulio II fu la riorganizzazione della città medioevale di Roma, la cui mancata risistemazione diventava visibile man mano che la città cresceva di importanza economica, finita nel XIV secolo. Il progetto dettagliato della strada fu fatto da Donato Bramante, che stava lavorando alla nuova Basilica di San Pietro, sull'altra sponda del fiume. Contemporaneamente si collegava il porto fluviale di Ripa Grande e la nuova via della Lungara. Via della Lungara fu creata sul percorso di un'antica via romana a via Giulia tramite ponte Sisto, per trasportare le merci in modo sicuro e conveniente. Da questi link  link si possono ammirare tutti i suoi tesori di chiese e palazzi. Il parcheggio che si sta costruendo su via dei tribunali, invece, sta completamente distruggendo tutto l'assetto Rinascimentale e sta letteralmente deturpandone l'urbanistica. Da questo video è possibile farsi un'idea dell'enorme scempio che si sta compiendo. Per non parlare dei tanti ritrovamenti archeologici nel sottosuolo.



lunedì 6 giugno 2011

Fuoco e fulmini

A volte la natura supera l'immaginazione della pittura. E' il caso di queste foto della recente eruzione del vulcano Puyenhue, con fulmini che cadono in mezzo a fuoco e fiamme, e che mi ricordano alcune opere del pittore inglese John Martin influenzato dall'estetica del sublime. Di seguito due sue opere: la distruzione di Sodoma e la Fine del mondo.





domenica 5 giugno 2011

Fuffa art Tribu'ne

Artribune è forse il caso dell'anno tra le webzine che parlano di arte. Nata da una costola di exibart, con direttore editoriale Massimiliano Tonelli, si è imposta subito tra gli addetti ai lavori e non solo per uno stile "gossipparo" ma anche pieno di contenuti, per aggiornati reportage e tante collaborazioni ed interviste. In questi giorni di Biennale ha fatto vedere in anteprima l'orribile Padiglione Italia e dalla pagina di facebook non manca aggiornamenti, spesso anche inutili, ma che ben si legano col clima modaiolo in laguna. Ora scopro che, sempre fu facebook, è nata una divertente parodia del profilo, si chiama Fuffa Art Tribu'ne e propone aggiornamenti parodistici tipo: Zio Michele oggi sarà ospite della Biennale di Venezia dove si esibirà in una nuova performance artistica insieme a Marina Abramović; "Luigi Ontani ce l'ha piccino", lo ha detto a Venezia Jannis Kounellis; Damien Hirst a Venezia cenando da Cipriani ha ordinato zuppa di pinna di squalo ma l'ha rimandata indietro perchè sapeva di formaldeide, ha ripegando su tartine burro e acciughe. 
Gagosian ha acquistato per un milione di euro un'opzione sulla nuova opera di Hirst "tartina di acciughe e burro in formaldeide". Della serie prendersi troppo sul serio alla fine stufa.

giovedì 2 giugno 2011

Se questo è un Padiglione?

Dall'ottimo sito Artribune che in questi giorni, con i suoi inviati in laguna, sta fornendo molte notizie e commenti circa la rassegna, un video girato nel Padiglione Italia. Le immagini si commentano da sole: allestimento scandaloso, opere insulse e affastellate peggio di un salon ottocentesco, mancanza di una linea curatoriale, ecc. ecc.


mercoledì 1 giugno 2011

Shirin Neshat: Arte in esilio

L'artista iraniana Shirin Neshat esplora il paradosso dell'essere un'artista in esilio: una voce per il suo popolo, ma che non può fare ritorno a casa. Nel suo lavoro, si concentra sull'Iran pre e post Rivoluzione Islamica, tracciando il cambiamento politico e sociale attraverso l'uso di evocative immagini di donne.

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