venerdì 30 luglio 2010

Il Padiglione Vaticano alla Biennale del 2011


E' una di quelle notizie che può scuotere lo stantio mondo dell'arte contemporanea e una di quelle mosse che non ti aspetti. Ormai è quasi certa l'apertura di un padiglione della Città del Vaticano nella prossima edizione della Biennale di Venezia (l'annuncio era stato dato nel 2009). Se ne discuteva da tempo ma ormai il progetto è in fase di arrivo, manca solo l'ufficializzazione degli artisti invitati (visto che il Vaticano non può proporre artisti del proprio Stato). Dei nomi su tutti sono quelli di Jannis Kounellis, esponente di primo piano della cosiddetta "arte povera", Anish Kapoor e Bill Viola; del comitato per la selezione farebbero parte il direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci e il suo predecessore Francesco Buranelli.. Il progetto, accantonato per l'edizione del 2009, dopo diversi accordi è stato ripreso e sviluppato;  la volontà di creare il primo “padiglione Vaticano” è stata più volte espressa dall’arcivescovo Gianfranco Ravasi, il presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura. Ravasi ha precisato che nell'iniziativa non vi sarebbe alcun intento polemico, ma, al contrario, il desiderio di avviare un dialogo tra la Santa Sede e l'arte contemporanea: "Vorrei rivolgermi a sette-otto artisti di tutto il mondo, a cominciare dall’Africa e dare loro come spunto i primi undici capitoli della Genesi dove si trovano già tutti i temi fondamentali: la creazione, il male, la coppia, la violenza familiare e sociale, l’ecologia e il diluvio, l’imperialismo di Babele. E non escludo anche di convocare artisti non credenti, perché il nostro scopo non é quello di produrre arte liturgica". "Adesso siamo a una svolta, lo sento - prosegue l'alto prelato -, e un famoso artista americano mi ha detto: dobbiamo tornare alle grandi sorgenti della vita; al Mistero, al Senso, all'Altro, tutte parole con la maiuscola. Tutti luoghi dove c'è Dio". (da Panorama: Chiesa e Artisti. Fine del divorzio. Intervista a Mons. Ravasi; si veda anche su Fides et Formas)
Un precedente momento significativo per i rapporti arte contemporanea-Santa Sede era stato l'incontro nel novembre 2009 tra Benedetto XVI e gli artisti, incontro che si poneva in continuità con la Lettera di Giovanni Paolo II agli artisti e l'incontro di papa Paolo VI. Da questo incontro e dalle parole del Papa, però, emergevano istanze diverse, prima fra tutte il bisogno di Bellezza, argomento ben lontano dall'arte di oggi.
Per maggiore chiarezza di seguito l'intero discorso del Papa:

INCONTRO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI CON GLI ARTISTI NELLA CAPPELLA SISTINA , 21.11.2009 

Alle ore 11 di questa mattina, nella Cappella Sistina, il Santo Padre Benedetto XVI incontra gli Artisti.
Nel corso dell’evento, promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura nel decennale della Lettera di Giovanni Paolo II agli Artisti (4 aprile 1999) e nel 45° anniversario dell’Incontro di Paolo VI con gli Artisti (7 maggio 1964), dopo l’indirizzo di omaggio di S.E. Mons. Gianfranco Ravasi, il Papa rivolge agli ospiti il seguente discorso:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
illustri Artisti,
Signore e Signori
!

Con grande gioia vi accolgo in questo luogo solenne e ricco di arte e di memorie. Rivolgo a tutti e a ciascuno il mio cordiale saluto, e vi ringrazio per aver accolto il mio invito.

Con questo incontro desidero esprimere e rinnovare l’amicizia della Chiesa con il mondo dell’arte, un’amicizia consolidata nel tempo, poiché il Cristianesimo, fin dalle sue origini, ha ben compreso il valore delle arti e ne ha utilizzato sapientemente i multiformi linguaggi per comunicare il suo immutabile messaggio di salvezza. Questa amicizia va continuamente promossa e sostenuta, affinché sia autentica e feconda, adeguata ai tempi e tenga conto delle situazioni e dei cambiamenti sociali e culturali. 

Ecco il motivo di questo nostro appuntamento. Ringrazio di cuore Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, per averlo promosso e preparato, con i suoi collaboratori, come pure per le parole che mi ha poc’anzi rivolto. Saluto i Signori Cardinali, i Vescovi, i Sacerdoti e le distinte Personalità presenti. Ringrazio anche la Cappella Musicale Pontificia Sistina che accompagna questo significativo momento. Protagonisti di questo incontro siete voi, cari e illustri Artisti, appartenenti a Paesi, culture e religioni diverse, forse anche lontani da esperienze religiose, ma desiderosi di mantenere viva una comunicazione con la Chiesa cattolica e di non restringere gli orizzonti dell’esistenza alla mera materialità, ad una visione riduttiva e banalizzante. Voi rappresentate il variegato mondo delle arti e, proprio per questo, attraverso di voi vorrei far giungere a tutti gli artisti il mio invito all’amicizia, al dialogo, alla collaborazione.

Alcune significative circostanze arricchiscono questo momento. Ricordiamo il decennale della Lettera agli Artisti del mio venerato predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II.
Per la prima volta, alla vigilia del Grande Giubileo dell’Anno 2000, questo Pontefice, anch’egli artista, scrisse direttamente agli artisti con la solennità di un documento papale e il tono amichevole di una conversazione tra "quanti – come recita l’indirizzo –, con appassionata dedizione, cercano nuove «epifanie» della bellezza". Lo stesso Papa, venticinque anni or sono, aveva proclamato patrono degli artisti il Beato Angelico, indicando in lui un modello di perfetta sintonia tra fede e arte.
Il mio pensiero va, poi, al 7 maggio del 1964, quarantacinque anni fa, quando, in questo stesso luogo, si realizzava uno storico evento, fortemente voluto dal Papa Paolo VI per riaffermare l’amicizia tra la Chiesa e le arti. Le parole che ebbe a pronunciare in quella circostanza risuonano ancor oggi sotto la volta di questa Cappella Sistina, toccando il cuore e l’intelletto. "Noi abbiamo bisogno di voi - egli disse -. Il Nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione. Perché, come sapete, il Nostro ministero è quello di predicare e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il mondo dello spirito, dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio. E in questa operazione… voi siete maestri. E’ il vostro mestiere, la vostra missione; e la vostra arte è quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità" (Insegnamenti II, [1964], 313).

Tanta era la stima di Paolo VI per gli artisti, da spingerlo a formulare espressioni davvero ardite: "E se Noi mancassimo del vostro ausilio – proseguiva –, il ministero diventerebbe balbettante ed incerto e avrebbe bisogno di fare uno sforzo, diremmo, di diventare esso stesso artistico, anzi di diventare profetico. Per assurgere alla forza di espressione lirica della bellezza intuitiva, avrebbe bisogno di far coincidere il sacerdozio con l’arte" (Ibid., 314).

In quella circostanza, Paolo VI assunse l’ impegno di "ristabilire l’amicizia tra la Chiesa e gli artisti", e chiese loro di farlo proprio e di condividerlo, analizzando con serietà e obiettività i motivi che avevano turbato tale rapporto e assumendosi ciascuno con coraggio e passione la responsabilità di un rinnovato, approfondito itinerario di conoscenza e di dialogo, in vista di un’autentica "rinascita" dell’arte, nel contesto di un nuovo umanesimo.

Quello storico incontro, come dicevo, avvenne qui, in questo santuario di fede e di creatività umana. Non è dunque casuale il nostro ritrovarci proprio in questo luogo, prezioso per la sua architettura e per le sue simboliche dimensioni, ma ancora di più per gli affreschi che lo rendono inconfondibile, ad iniziare dai capolavori di Perugino e Botticelli, Ghirlandaio e Cosimo Rosselli, Luca Signorelli ed altri, per giungere alle Storie della Genesi e al Giudizio Universale, opere eccelse di Michelangelo Buonarroti, che qui ha lasciato una delle creazioni più straordinarie di tutta la storia dell’arte. Qui è anche risuonato spesso il linguaggio universale della musica, grazie al genio di grandi musicisti, che hanno posto la loro arte al servizio della liturgia, aiutando l’anima ad elevarsi a Dio.

Al tempo stesso, la Cappella Sistina è uno scrigno singolare di memorie, giacché costituisce lo scenario, solenne ed austero, di eventi che segnano la storia della Chiesa e dell’umanità. Qui, come sapete, il Collegio dei Cardinali elegge il Papa; qui ho vissuto anch’io, con trepidazione e assoluta fiducia nel Signore, il momento indimenticabile della mia elezione a Successore dell’apostolo Pietro.

Cari amici, lasciamo che questi affreschi ci parlino oggi, attirandoci verso la méta ultima della storia umana. Il Giudizio Universale, che campeggia alle mie spalle, ricorda che la storia dell’umanità è movimento ed ascensione, è inesausta tensione verso la pienezza, verso la felicità ultima, verso un orizzonte che sempre eccede il presente mentre lo attraversa. Nella sua drammaticità, però, questo affresco pone davanti ai nostri occhi anche il pericolo della caduta definitiva dell’uomo, minaccia che incombe sull’umanità quando si lascia sedurre dalle forze del male. L’affresco lancia perciò un forte grido profetico contro il male; contro ogni forma di ingiustizia.

Ma per i credenti il Cristo risorto è la Via, la Verità e la Vita. Per chi fedelmente lo segue è la Porta che introduce in quel "faccia a faccia", in quella visione di Dio da cui scaturisce senza più limitazioni la felicità piena e definitiva. Michelangelo offre così alla nostra visione l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine della storia, e ci invita a percorrere con gioia, coraggio e speranza l’itinerario della vita. La drammatica bellezza della pittura michelangiolesca, con i suoi colori e le sue forme, si fa dunque annuncio di speranza, invito potente ad elevare lo sguardo verso l’orizzonte ultimo. Il legame profondo tra bellezza e speranza costituiva anche il nucleo essenziale del suggestivo Messaggio che Paolo VI indirizzò agli artistialla chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II, l’8 dicembre 1965: "A voi tutti - egli proclamò solennemente - la Chiesa del Concilio dice con la nostra voce: se voi siete gli amici della vera arte, voi siete nostri amici!" (Enchiridion Vaticanum, 1, p. 305). Ed aggiunse: "Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione. E questo grazie alle vostre mani… Ricordatevi che siete i custodi della bellezza nel mondo" (Ibid.).

Il momento attuale è purtroppo segnato, oltre che da fenomeni negativi a livello sociale ed economico, anche da un affievolirsi della speranza, da una certa sfiducia nelle relazioni umane, per cui crescono i segni di rassegnazione, di aggressività, di disperazione. Il mondo in cui viviamo, poi, rischia di cambiare il suo volto a causa dell’opera non sempre saggia dell’uomo il quale, anziché coltivarne la bellezza, sfrutta senza coscienza le risorse del pianeta a vantaggio di pochi e non di rado ne sfregia le meraviglie naturali. Che cosa può ridare entusiasmo e fiducia, che cosa può incoraggiare l’animo umano a ritrovare il cammino, ad alzare lo sguardo sull’orizzonte, a sognare una vita degna della sua vocazione se non la bellezza? Voi sapete bene, cari artisti, che l’esperienza del bello, del bello autentico, non effimero né superficiale, non è qualcosa di accessorio o di secondario nella ricerca del senso e della felicità, perché tale esperienza non allontana dalla realtà, ma, al contrario, porta ad un confronto serrato con il vissuto quotidiano, per liberarlo dall’oscurità e trasfigurarlo, per renderlo luminoso, bello.

Una funzione essenziale della vera bellezza, infatti, già evidenziata da Platone, consiste nel comunicare all’uomo una salutare "scossa", che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo "risveglia" aprendogli nuovamente gli occhi del cuore e della mente, mettendogli le ali, sospingendolo verso l’alto. L’espressione di Dostoevskij che sto per citare è senz’altro ardita e paradossale, ma invita a riflettere: "L’umanità può vivere - egli dice - senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui". Gli fa eco il pittore Georges Braque: "L’arte è fatta per turbare, mentre la scienza rassicura". La bellezza colpisce, ma proprio così richiama l’uomo al suo destino ultimo, lo rimette in marcia, lo riempie di nuova speranza, gli dona il coraggio di vivere fino in fondo il dono unico dell’esistenza. La ricerca della bellezza di cui parlo, evidentemente, non consiste in alcuna fuga nell’irrazionale o nel mero estetismo.

Troppo spesso, però, la bellezza che viene propagandata è illusoria e mendace, superficiale e abbagliante fino allo stordimento e, invece di far uscire gli uomini da sé e aprirli ad orizzonti di vera libertà attirandoli verso l’alto, li imprigiona in se stessi e li rende ancor più schiavi, privi di speranza e di gioia. Si tratta di una seducente ma ipocrita bellezza, che ridesta la brama, la volontà di potere, di possesso, di sopraffazione sull’altro e che si trasforma, ben presto, nel suo contrario, assumendo i volti dell’oscenità, della trasgressione o della provocazione fine a se stessa. L’autentica bellezza, invece, schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da sé. Se accettiamo che la bellezza ci tocchi intimamente, ci ferisca, ci apra gli occhi, allora riscopriamo la gioia della visione, della capacità di cogliere il senso profondo del nostro esistere, il Mistero di cui siamo parte e da cui possiamo attingere la pienezza, la felicità, la passione dell’impegno quotidiano. Giovanni Paolo II, nella Lettera agli Artisti, cita, a tale proposito, questo verso di un poeta polacco, Cyprian Norwid: "La bellezza è per entusiasmare al lavoro, / il lavoro è per risorgere" (n. 3). E più avanti aggiunge: "In quanto ricerca del bello, frutto di un’immaginazione che va al di là del quotidiano, l’arte è, per sua natura, una sorta di appello al Mistero. Persino quando scruta le profondità più oscure dell’anima o gli aspetti più sconvolgenti del male, l’artista si fa in qualche modo voce dell’universale attesa di redenzione" (n. 10). E nella conclusione afferma: "La bellezza è cifra del mistero e richiamo al trascendente" (n. 16).

Queste ultime espressioni ci spingono a fare un passo in avanti nella nostra riflessione.

La bellezza, da quella che si manifesta nel cosmo e nella natura a quella che si esprime attraverso le creazioni artistiche, proprio per la sua caratteristica di aprire e allargare gli orizzonti della coscienza umana, di rimandarla oltre se stessa, di affacciarla sull’abisso dell’Infinito, può diventare una via verso il Trascendente, verso il Mistero ultimo, verso Dio. 

L’arte, in tutte le sue espressioni, nel momento in cui si confronta con i grandi interrogativi dell’esistenza, con i temi fondamentali da cui deriva il senso del vivere, può assumere una valenza religiosa e trasformarsi in un percorso di profonda riflessione interiore e di spiritualità. Questa affinità, questa sintonia tra percorso di fede e itinerario artistico, l’attesta un incalcolabile numero di opere d’arte che hanno come protagonisti i personaggi, le storie, i simboli di quell’immenso deposito di "figure" – in senso lato – che è la Bibbia, la Sacra Scrittura. Le grandi narrazioni bibliche, i temi, le immagini, le parabole hanno ispirato innumerevoli capolavori in ogni settore delle arti, come pure hanno parlato al cuore di ogni generazione di credenti mediante le opere dell’artigianato e dell’arte locale, non meno eloquenti e coinvolgenti.

Si parla, in proposito, di una via pulchritudinis, una via della bellezza che costituisce al tempo stesso un percorso artistico, estetico, e un itinerario di fede, di ricerca teologica. Il teologo Hans Urs von Balthasar apre la sua grande opera intitolata Gloria. Un’estetica teologica con queste suggestive espressioni: "La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto". Osserva poi: "Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma che ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza. Essa è la bellezza che non è più amata e custodita nemmeno dalla religione". E conclude: "Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che – segretamente o apertamente – non è più capace di pregare e, presto, nemmeno di amare". La via della bellezza ci conduce, dunque, a cogliere il Tutto nel frammento, l’Infinito nel finito, Dio nella storia dell’umanità. Simone Weil scriveva a tal proposito: "In tutto quel che suscita in noi il sentimento puro ed autentico del bello, c’è realmente la presenza di Dio. C’è quasi una specie di incarnazione di Dio nel mondo, di cui la bellezza è il segno. Il bello è la prova sperimentale che l’incarnazione è possibile. Per questo ogni arte di prim’ordine è, per sua essenza, religiosa". Ancora più icastica l’affermazione di Hermann Hesse: "Arte significa: dentro a ogni cosa mostrare Dio". Facendo eco alle parole del Papa Paolo VI, il Servo di Dio Giovanni Paolo II ha riaffermato il desiderio della Chiesa di rinnovare il dialogo e la collaborazione con gli artisti: "Per trasmettere il messaggio affidatole da Cristo, la Chiesa ha bisogno dell’arte" (Lettera agli Artisti, n. 12); ma domandava subito dopo: "L’arte ha bisogno della Chiesa?", sollecitando così gli artisti a ritrovare nella esperienza religiosa, nella rivelazione cristiana e nel "grande codice" che è la Bibbia una sorgente di rinnovata e motivata ispirazione.

Cari Artisti, avviandomi alla conclusione, vorrei rivolgervi anch’io, come già fece il mio Predecessore, un cordiale, amichevole ed appassionato appello. Voi siete custodi della bellezza; voi avete, grazie al vostro talento, la possibilità di parlare al cuore dell’umanità, di toccare la sensibilità individuale e collettiva, di suscitare sogni e speranze, di ampliare gli orizzonti della conoscenza e dell’impegno umano. 

Siate perciò grati dei doni ricevuti e pienamente consapevoli della grande responsabilità di comunicare la bellezza, di far comunicare nella bellezza e attraverso la bellezza! Siate anche voi, attraverso la vostra arte, annunciatori e testimoni di speranza per l’umanità! E non abbiate paura di confrontarvi con la sorgente prima e ultima della bellezza, di dialogare con i credenti, con chi, come voi, si sente pellegrino nel mondo e nella storia verso la Bellezza infinita! 

La fede non toglie nulla al vostro genio, alla vostra arte, anzi li esalta e li nutre, li incoraggia a varcare la soglia e a contemplare con occhi affascinati e commossi la méta ultima e definitiva, il sole senza tramonto che illumina e fa bello il presente.

Sant’Agostino, cantore innamorato della bellezza, riflettendo sul destino ultimo dell’uomo e quasi commentando ante litteram la scena del Giudizio che avete oggi davanti ai vostri occhi, così scriveva: "Godremo, dunque di una visione, o fratelli, mai contemplata dagli occhi, mai udita dalle orecchie, mai immaginata dalla fantasia: una visione che supera tutte le bellezze terrene, quella dell’oro, dell’argento, dei boschi e dei campi, del mare e del cielo, del sole e della luna, delle stelle e degli angeli; la ragione è questa: che essa è la fonte di ogni altra bellezza" (In Ep. Jo. Tr. 4,5: PL 35, 2008). Auguro a tutti voi, cari Artisti, di portare nei vostri occhi, nelle vostre mani, nel vostro cuore questa visione, perché vi dia gioia e ispiri sempre le vostre opere belle. Mentre di cuore vi benedico, vi saluto, come già fece Paolo VI, con una sola parola: arrivederci!



Intanto verrà inaugurata domani a Teramo, presso il santuario di San Gabriele dell’Addolorata, La XIV Biennale d’Arte Sacra Contemporanea curata da Pierluigi Lia e Giuseppe Bacci, con la collaborazione di Mariano Apa, Luca Beatrice, Giuseppe Billi, Maurizio Calvesi, Lorenzo Canova, Luciano Caramel, Carlo Fabrizio Carli, Giorgio Cortenova, Enrico Crispolti, Giorgio Di Genova, Marco Gallo, Roberto Gramiccia, Pierluigi Lia, Mary Angela Schroth, Marisa Vescovo. A ciascun critico è stato affidato il compito di proporre cinque artisti, con ciascuno dei quali egli ha interagito per aiutarli a creare e presentare le opere in catalogo, evidenziando il processo artistico ed ermeneutico in riferimento al tema proposto delle Beatitudini evangeliche. All’interno del Museo Staurós d’Arte Sacra Contemporanea, e negli ampi spazi circostanti il santuario di San Gabriele, dal 31 luglio al 24 ottobre 2010 si concentreranno oltre cento opere, in parte installazioni, create appositamente per l’occasione. Attraverso esse, artisti contemporanei si sono misurati con il suggestivo tema proposto, al fine di entrare in dialogo con la Chiesa e donare ai visitatori suggerimenti spirituali. Critici d’arte, filosofi e teologi cristiani di diversa provenienza geografico-culturale si confrontano con i protagonisti dell’arte contemporanea, per una rinnovata collaborazione tra arte e fede.


domenica 18 luglio 2010

L'ennesimo Caravaggio. Il Martirio di San Lorenzo e qualche chiarimento



Scoperto un nuovo Caravaggio. Ormai le sue tele escono fuori come i funghi e, guarda caso, proprio nell'anno delle sue celebrazioni. L'annuncio l'ha dato ieri l'Osservatore Romano, pur con molti dubbi; la tela raffigura il Martirio di San Lorenzo ed è stata ritrovata tra le proprietà della Compagnia di Gesù di Roma.  
"Saranno ulteriori indagini diagnostiche e un circostanziato approfondimento documentario, stilistico e critico - scrive - a fornire le risposte". Il giornale vaticano non si sbilancia ma ammette che si tratta almeno di "un caravaggesco della primissima ora". "San Lorenzo - rileva l'articolo - e' raffigurato sulla graticola con le braccia in avanti, quasi a cercare la salvezza e il suo volto giovane, sofferente e disperato mostra quell'umanita' presente nel profondo significato teologico del martirio". Davanti al quadro, aggiunge l'Osservatore, si ha "la stessa sensazione che si percepisce osservando le opere di Caravaggioper la cappella Cerasi a Santa Maria del Popolo". L'Osservatore sottolinea anche che "il Martirio di San Lorenzo costituisce un chiaro riferimento ai dettami iconografici di evidente matrice gesuitica. Di certo è un dipinto stilisticamente impeccabile, bellissimo: notevole è la luce che dal fondo scuro sferza e modella con bagliori improvvisi la superficie dei volumi. Non si può fare a meno di riandare col pensiero a opere come la Conversione di san Paolo, il Martirio di san Matteo o Giuditta e Oloferne".

"Il Martirio di san Lorenzo costituisce - secondo Insolera - un chiaro riferimento ai dettami iconografici di evidente matrice gesuitica". Il realismo era voluto dai gesuiti per facilitare nei novizi, destinati alle terre di missione, la comprensione del momento del martirio, trasformando la paura in accettazione del proprio stato, per il tramite della grazia, proprio come avviene in san Lorenzo. Non è chiaro quale cappella avrebbe dovuto ospitare l’opera, ma è noto che Caravaggio ebbe a che fare con Salustia Cerrini, moglie di Ottavio Crescenzi, della nobile famiglia romana collegata alle vicende della committenza a Caravaggio della cappella Contarelli. La certificazione ancora non c’è, ma i critici - riferisce il giornale vaticano - sono affascinati dall’opera che «sembra avere i crismi per un’attribuzione che, va detto, aspetta ancora la garanzia dell’ufficialità».




Ed ecco, di seguito, alcune considerazioni che ridimensionano l'attribuzione.
Per il giovane studioso Mauro Di Vito, allievo di Mina Gregori, "Dalle foto non mi sembra un Caravaggio. A occhio guardando la foto, da conoscitore di Caravaggio, il 'Martirio di San Lorenzo' dei Gesuiti di cui parla l'Osservatore Romano non mi sembra della qualità sufficiente per considerarlo anche solo una tra le opere meno belle del pittore lombardo". Di Vito mette in guardia dalla "caravaggiomania": "Si vuole a tutti i costi trovare Caravaggio dovunque, mentre - conclude - si cerca di accantonare attribuzioni che sono frutto di lunghi studi, come il 'Cavadenti' attribuito dalla Gregori al Merisi".

Per Vittorio Sgarbi"La notizia sarebbe se si scoprisse un Caravaggio in Lombardia. Noi conosciamo Caravaggio -aggiunge Sgarbi- solo dalle sue opere romane, napoletane, siciliane e maltesi. Scoprire una sua tela in Lombardia significherebbe conoscere la sua pittura prima del suo arrivo a Roma".Quanto all'attribuzione al Merisi del 'Martirio di San Lorenzo' dei Gesuiti, Sgarbi è possibilista e, con la sua solita leggerezza distante da studi specifici afferma: "Non sarebbe impossibile la scoperta di un nuovo Caravaggio a Roma. Non aveva alcuna regola quindi non sappiamo se tra i suoi soggetti ci fosse un martirio di San Lorenzo. Può anche darsi - conclude - ma bisogna verificare attentamente l'opera". (Fonte).

Anche Alfred Breitman e il Gruppo Watching The Sky intervengono sulla scoperta.

"L'opera segue senza dubbio la visione gesuitica dell'arte," spiega l'artista e studioso, "che prevede la rappresentazione di scene realistiche, capaci di infervorare lo spirito del credente, immedesimandolo nel quadro. La crudezza del martirio e la fede del giovane Lorenzo, che si avvale della forza della fede per sopportare la sofferenza, sono elementi esemplari ed educativi, nell'ottica religiosa, specie per i giovani missionari, soggetti a gravi pericoli di persecuzione. Secondo Roberto Bellarmino," continua Breitman, "santo teologo vissuto fra il XVI e il XVII secolo, chi osserva un'opera d'arte e riconosce in essa l'oggetto venerato, si infiamma di passione e più la guarda, più si accende. Il San Lorenzo appena scoperto possiede queste caratteristiche e in esso è evidente l'influsso caravaggesco". Alfred Breitman nota però alcuni aspetti stilistici e iconografici che distinguono l'immagine del martire rispetto alla produzione nota del Caravaggio. "L'opera, nonostante stia ricevendo da ogni parte lodi sublimi, è evidentemente di buona, ma non eccelsa qualità. La pittura del g non è solo 'realistica', ma anche venata di un sottile e sensuale narcisismo, caratteristica che la allontanava dai dettami iconografici stabiliti dalla Compagnia del Gesù. Il genio lombardo prestava un'attenzione assoluta ai particolari della figura umana e in particolar modo a quella dei giovani uomini. La sua arte li mostrava in una vivente, vibrante carnalità, da cui trasudava come un insaziabile anelito lo spirito. Il San Lorenzo, al contrario, è greve, molle e scomposto. In lui non si agitano né la violenza della pena né quella della fede: è già più intenso e viene da più lontano il grido del caravaggesco Ragazzo morso da un ramarro! E' strano come nessuno si sia accorto di quanto siano sgraziati i rapporti fra le membra del giovane, sottolineati da una luce impietosa, e delle sue orecchie brutte ed enormi, quando le orecchie dipinte nelle opere certe del maestro sono armoniose e belle come conchiglie di mare". Fra tante voci fuori dal coro che inneggia al capolavoro ritrovato, oltre a quella di Breitman vi è quella della criticata soprintendente del polo romano Rossella Vodret (consigliata da Gianni Letta al posto di Strinati e gradita alla Presidenza del Consiglio, chiamata in causa ultimamente per la controversa mostra "Il Potere e la Grazia". Fonte), che ha detto: "Mi sembra un quadro bello e interessante, ma l'attribuzione al Merisi è da approfondire. Sono stata chiamata nei giorni scorsi dal rettore della Chiesa del Gesù per vedere il quadro, ma purtroppo non ho avuto tempo: ci andrò sicuramente lunedi». «Per ora - sottolinea ancora - ho visto l'opera solo su Internet e direi, a freddo, che non mi sembra un Caravaggio, pur essendo un lavoro che ha sicuramente legami con l'artista e con la sua cerchia. Ma vale la pena di andare a fondo, anche grazie agli ottimi strumenti che abbiamo a disposizione e che ci consentono risposte precise. Trovo strano che si tratti di un originale non documentato, non citato dalle fonti. Ma tutto può succedere". (Fonte).
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Se l'autore non è il Caravaggio, quale firma potrebbe celarsi dietro al San Lorenzo? "Un artista vicino alla Compagnia del Gesù," spiega Breitman, "caravaggista della prima ora e dotato di buona maestria tecnica, ma non del dono del genio. Dovrei analizzare l'opera da vicino, ma a prima vista, direi che potrebbe essere un lavoro di Giovanni Baglione, il 'nemico' giurato del Caravaggio, che lo apostrofò come plagiatore e fu da lui citato in giudizio per diffamazione. Il Baglione realizzò diverse opere per i gesuiti e in particolare una grande Resurrezione per la Chiesa del Gesù. Il Caravaggio espresse questo giudizio, sull'arte del rivale: 'Quella pittura a me non piace, perché è goffa'. Le stesse imprecisioni anatomiche riscontrabili nel San Lorenzo, sono presenti in opere del Baglione come L'amore divino e l'amore profano o il San Sebastiano curato da un angelo". (Fonte)

Concordo con questa analisi; dalla scarsissima immagine la posa del santo appare troppo affettata e le membra non del tutto proporzionate col corpo (tozzo e quasi goffo il braccio sinistro); e poi c'è quel panneggio sul corpo che, forse un'aggiunta successiva, ma sa tanto di Novecento (Zeri, forse ci avrebbe visto un Guttuso).

Intanto, più di ventimila persone hanno partecipato a “La notte di Caravaggio”, propaggine della tanto lodata mostra-Blockbusterconclusasi stamani. La rassegna ha ripercorso idealmente la maturazione artistica del genio di Michelangelo Merisi, con opere esposte in chiese e nei maggiori poli museali romani, tra cui la Galleria Borghese. A riguardo di tutta questa vuota celebrazione che sa tanto di consumo, un bel post, che condivido pienamente, dall'interessantissimo blog Almanacco Romano. Segue:

~ UNA STRANA FESTA PER IL CARAVAGGIO ~
San Michelangelo da Caravaggio, canonizzato dai sottosegretari, dai sovraintendenti e dagli assessori, hanno cercato le tue ossa come si fa per i santi e, una volta trovatele, le hanno esposte come reliquie, tra poco ci costruiranno pure un santuario. Quando mai i cadaveri dei pittori interessano qualcuno? Ma di te raccontano una specie di passione, la tua morte diventa un martirio. Stanotte ti celebrano per Roma, nelle chiese ornate dalle tue opere, scegliendo per data della festa, come si fa per chi sale alla gloria degli altari, il giorno della tua morte, il dies mortis, che corrisponde per gli eletti della Chiesa romana al dies natalis in Cielo. Noi non sappiamo se dopo la morte di febbre nella selvaggia Maremma tu sia immediatamente rinato in Paradiso, senza un giorno di Purgatorio, a noi ci sembri comunque un buon cristiano, e cristianissima, anzi cattolica controriformista, appare l’arte tua. Ma gli organizzatori della festa son gente un po’ ipocrita, di quel genere che avrebbe suscitato la tua rabbia irruenta e forse anche la violenza di cui raccontano i biografi. Siamo certi che non ci avresti messo molto a malmenare chi ti chiama «intrattenitore» o i feticisti del culturame che scrivono lo slogan della serata: «rinfrescarsi con l’arte all’ombra del Caravaggio». Al ministero dei Beni culturali ti trattano come un ventilatore o un pinguino dell’aria condizionata. Con te ci hanno preso gusto perché attiri le folle attaccate alle figure, alle storie, alla verosimiglianza, alla fisicità, alla somiglianza miracolosa con il creato. Sì, son quelli i tuoi miracoli da pittore. E con te è sempre successo grande, i soldi si fanno facilmente: basta il tuo nome per smuovere chi è nauseato dai concettualismi e vuol vedere la carne dipinta, la carne peccaminosa e redenta. Così hanno incassato molto con la mostra alle Scuderie, la cui notte finale sorprese anche i più ottimisti, e ci riprovano subito, con scarsa fantasia e molta ingordigia. C’è, soprattutto tra i gazzettieri, chi ti invoca come una rockstar e chi ti considera un succedaneo delle notti bianche, in ogni caso una trovata per richiamare i turisti annoiati o per movimentare l’estate romana. Una parte degli incassi che ricavano con questa pittura realistica saranno dirottati per nutrire la bestialità del ‘contemporaneo’, cosicché servirai ad arricchire gli iconoclasti con la sceneggiata in tuo onore. Del resto i burocrati e i mercanti dell’arte sanno bene che non si vive di incerti sperimentalismi e che ci vuole la vecchia pittura, magari anche per allontanarsene a menar scandalo. Siccome poi, quando ti hanno accostato all’isterico Bacon, le cose non sono andate troppo bene, adesso la nuova sovraintendente sta attenta a non mescolarti più con chi vive di luce riflessa, non conviene. Noi abbiamo la tua opera sparsa per le chiese romane, grazie a committenti – preti, cardinali, confraternite e nobili papalini – ben più abili di quelli attuali – pubblici, laici, modaioli – , che comprano a carissimo prezzo delle inutilità che si dimenticano in un battibaleno. Ma alla fine saranno loro a cantare vittoria confondendo i numeri dei tuoi pellegrini notturni con quelli del Maxxi e del Macro, facendo come al solito d’ogni erba un fascio, cercando in ogni modo di gabbare il santo.



News:


C'è da aggiungere oggi, 26 luglio, il parere di Paolucci, direttore dei Musei Vaticani e grande studioso di Caravaggio, il quale, dalle pagine dello stesso Osservatore Romano che aveva dato la notizia, stronca il dipinto: un caravaggesco di qualità, negli anni fra i Venti e i Trenta del XVII secolo, ha voluto dare al Martirio di san Lorenzo la smagliante evidenza del Vero, il valore esemplare in certo senso catechetico del martirio. La memoria di un dipinto che deve essere stato comunque notevole e che per qualche ragione è andato perduto, è oggi consegnata alla tela, oggettivamente modesta, che sta al Gesù di Roma.
Magie della caravaggiomania.






Di poche ore fa, invece, dal sito dell'ANSA, il parere di altri illustri esperti.
ROMA - Non e' di Caravaggio e non c'e' nemmeno la mano del grande maestro lombardo nel Martirio di San Lorenzo, di proprieta' dei Gesuiti. Dopo il direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci, che ha negato ieri dalle pagine dell'Osservatore Romano una possibile attribuzione, anche altri autorevoli esperti, convocati a Roma dalla soprintendente del Polo museale Rossella Vodret, non hanno dubbi e si uniscono alla smentita.

La tela ritrovata, concordano pur dopo un'analisi all'impronta la Vodret, Gianni Papi, Marco Bona Castellotti, Sybille Ebert Schifferer, Beatrice De Ruggeri, sarebbe piuttosto opera di un caravaggesco, ovvero di un pittore seguace del Caravaggio, quasi certamente meridionale, di area campana o forse ancora piu' a sud, verso la Sicilia e Malta.

Di piu' potranno dire le indagini diagnostiche, annunciate per settembre dalla soprintendenza e finanziate dall'Abi, sponsor per i gesuiti anche del primo restauro della tela. Mentre il direttore della Chiesa del Gesu', padre Daniele Libanori, rivela che i gesuiti ''sono stati sorpresi e spaesati'' dalla decisione dell'Osservatore Romano di pubblicare in prima pagina nel giorno dell'anniversario della morte di Caravaggio, e con un titolo strillato, l'articolo della studiosa Salvucci Insolera, che con ogni prudenza ne proponeva l'attribuzione prestigiosa. ''Tutto questo interesse che poi ne e' derivato ci ha stupito e ci e' sembrato improprio'', commenta, ''anche per questo abbiamo poi voluto consultare sempre la soprintendenza e abbiamo deciso di esporlo agli studiosi''. Tra questi, il toscano Gianni Papi, che e' il curatore della grande mostra in corso a Firenze sui Caravaggeschi, fa i nomi di Michele Cassarino e di Marco Minniti: ''potrebbe trattarsi di un quadro realizzato tra la Sicilia e Malta'', dice.

Un'ipotesi che convince la soprintendente Vodret, per la quale si tratta comunque di un quadro ''molto interessante'' con alcune ''parti di grande qualita''', come l'idea di ritrarre il santo prono sulla graticola, e ''cadute importanti''. Per la soprintendente potrebbe avere un senso l'attribuzione al siciliano Minniti, amico del Caravaggio, e la tela potrebbe risalire al secondo decennio del Seicento, quanto il genio lombardo era morto da poco. Non crede ad una attribuzione a Minniti, invece, Sybille Ebert Schifferer, che pensa piuttosto ad un pittore della cerchia meridionale tra Napoli e la Calabria. Pensa a ''certi aspetti della pittura maltese'' Marco Bona Castellotti.

Delle indagini diagnostiche si occupera' Beatrice De Ruggeri, anche lei convinta che la tela non sia di Caravaggio. Gli esami, che costeranno tra i 2.500 ed i 3.000 euro, richiederanno, spiega, qualche settimana di lavoro. Ancora da indagare anche la provenienza del quadro, che e' di proprieta' dei gesuiti. L'ultima collocazione nota, precisa padre Libanori, e' del 1927. ''Era molto sporco e scuro - dice - abbiamo pensato di restaurarlo in omaggio ai 400 anni dalla morte di Caravaggio''. Nessun particolare stupore per il ritrovamento: ''Nelle nostre case - aggiunge accanto a lui un altro gesuita - ci sono stati e ci sono tesori che nemmeno noi conosciamo, solo negli ultimi tempi ci siamo impegnati in un inventario''.


lunedì 5 luglio 2010

Blu - nascita e caduta del genere umano.

L'ultimo incredibile video di Blu (Big Bag Big Boom), street-artist italiano ma ormai di fama mondiale; una wall-painted animation che pare avere, come filo conduttore, lo sviluppo della vita sulla terra, dalla nascita (animale) alla distruzione (umana). Ma gli spunti sono così tanti che sarebbe riduttivo vedervi solo questi riferimenti. Un tripudio di forme, colori e creatività. Forse il suo miglior video nell'abilità di interagire maggiormente con l'ambiente e gli oggetti.


BIG BAG BIG BOOM - the new wall-painted animation by BLU from blu on Vimeo.

giovedì 1 luglio 2010

Living color 1994 - Colour as experience. Holi festival

L'album LIVING COLOR 1994-COLOUR AS EXPERIENCE è frutto della ricerca dell'artista multimediale Salvatore Lamanna sul web.Fotografi: Utpal Baruah, Anupam Nath, Rafiq Maqbool, K. Arora,Daniel Berehulak,Ajay Verma,Krishnendu Halder,Andrea De Silva,Manish Swarup,Poras Chaudhary,Bikas Das. Agenzie: REUTERS,AP,Getty Immages. Le immagini cercano di ampliare e potenziare la gamma dei colori. Il risultato è un'esplosione di cromie, tinte, effetti di luce, giochi di colore. Le foto riguardano la celebre Festa del colore indù, Holi, che si celebra ogni anno in India e sono incredibilmente belle ed evocative. Un trionfo di polveri colorate che avrebbe fatto la gioia degli impressionisti. Da questo link è possibile vedere tutte le foto del progetto di Lamanna (facebook).

L’Holi festival o festa dei colori e’ in India uno dei momenti piu’ attesi dell’anno. Si celebra tra la fine del mese di febbraio e l’inizio di marzo, nel primo plenilunuio che per il calendario indiano segna il passaggio dall’inverno alla primavera. E’ una festa collettiva che coinvolge tutta la popolazione, i cui momenti salineti consistono nello spruzzarsi reciprocamente con acqua mista a polveri di colori trasformandosi in veri e propri arcobaleni e nel bruciare in un grande falo’ la demoniaca Holika.L'origine dell'Holi festival si perde in diverse leggende della mitologia indiana. Le prime testimonianze di cui si ha notizia si trovano incise su una pietra ritrovata a Ramgarh nella provincia di Vindhya e risalgono al 300 avanti Cristo. I significati simbolici di questa sorta di carnevale della Primavera sono molteplici, legati alla stagione della rinascita del rinnovamento, alla fertilita’ che nelle tradizioni contadine chiedeva buoni raccolti e salute per gli animali, alla vittoria del bene sul male. Nella tradizione della medicina ayurvedica infine, l’uso del colore e’ una vera terapia e la gioiosita’ mista a goliardia che deriva dai giochi con i colori costituisce per la psiche e l’umore una innegabile fonte di buon umore e ben essere. (fonte).





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