martedì 29 giugno 2010

Lacrime per Caravaggio

Questo Caravaggio, per come è stato ridotto e danneggiato (per essere stato arrotolato durante il furto), più che la cattura di Cristo mi ricorda l'Ecce Homo. La tela è quella trafugata ad Odessa nel 2008 e recentemente ritrovata a Berlino, considerata originale dalla critica solo nel 1950. (La Stampa).

La Girandola di Castel Sant'Angelo



Per la festa del 29 giugno dei santi Pietro e Paolo dall'anno scorso a Roma è stata ripristinata l'usanza della celebre Girandola a Castel Sant'Angelo e, anche quest'anno, ieri si è potuta ammirare in tutto il suo splendore di luci e suggestioni dall'altra parte del Tevere o da Ponte sant'Angelo, spettacolo unico nel suo genere che ricorda i fasti di un tempo della corte pontificia quando Roma appariva agli occhi del mondo una meraviglia e ogni festa, spettacolo o cerimonia, era pervasa da una forte carica di magnificenza. La "girandola", introdotta a Roma nel 1481 per celebrare il pontificato di Papa Sisto IV e poi in seguito utilizzata per celebrare le principali festività dell'anno, consiste in una cerimonia di luci, spari, mortaretti, colpi di cannone e fuochi d'artificio che arriva a durare fino ad un'ora e mezza. Fin dalla metà del Cinquecento i fuochi d’artificio, entrati nella tradizione festiva popolare italiana dal XIV secolo, assumono il carattere di evento finale di cerimonie ufficiali quali tornei, cavalcate per illustri ospiti, vittorie militari, incoronazioni del principe, canonizzazioni. La sera della vigilia della festa del Santo, la basilica di San Pietro viene ricoperta da lanterne e fiaccole disposte in modo da esaltarne la bellezza e le forme. E’ una visione che, in un mondo dove il buio della notte non è stato ancora annullato da una potente illuminazione pubblica (solo nel 1856 la città viene dotata dell’impianto a gas), nessun romano e nessuno degli innumerevoli stranieri presenti nella città vuole perdersi.  Contrappunto laico alla suggestiva luminaria di San Pietro è la girandola di Castel Sant’Angelo. La prima girandola fu probabilmente eseguita già nel 1481 per l’anniversario della salita al soglio pontificio di Sisto IV. Ne seguirono per l’incoronazione dei papi, per i loro compleanni, per le venute dei principi e in occasione della festa dei santi Pietro e Paolo. Nel 1851 la girandola viene trasferita sul piazzale del Pincio.



Sarebbe comunque riduttivo definire la Girandola un semplice fuoco d’artificio. Questo grandioso spettacolo pirotecnico era ottenuto grazie a enormi macchinari sistemati sulla sommità del Castello: attraverso l’accensione di razzi, bengala ed altri fuochi artificiali si generavano disegni fantastici, che avvolgevano il castello. Al disegno delle macchine per le girandole di Castel Sant’ Angelo si applicarono i più grandi artisti del tempo: da Michelangelo al Bernini, da Vanvitelli al Fuga. Era un vanto da mostrare all’intera Europa per l’ingegno, l’architettura e i colori che i “mastri” addetti segretamente e sotto giuramento si tramandavano nel tempo. Scopro dal sito del Mibac come dietro lo spettacolo pirotecnico vi fosse una complessa simbologia e che tutto (dai disegni, ai colori, agli effetti) fosse minuziosamente studiato; circolavano già dal '400 trattati sull'arte pirotecnica e da questi manuali si ricavano anche miscele dimenticate nel tempo che in parte, oggi, vengono riscoperte: il LICOPODIO, una spora di una pianta che cresce nelle remote foreste degli Urali e in alcune zone delle Alpi, che opportunamente trattata crea degli effetti straordinari; oppure la LAMINARIA, un‟alga che ci arriva da una baia dell‟Irlanda del Nord, una baia che sembra incantata, come da incanto sono gli effetti che quest‟alga produce dietro una complessa manipolazione; o ancora il DITTAMO, arbusto che cresce anche da noi; tra le varie curiosità vi è anche un insalata la SARNICOLA, che cresce in prossimità del mare su terreni e rocce ricchi di salinità, ottima da assaporare con aceto e olio di oliva, ma che bruciata genera dei sali che solo noi sappiamo come usare, e che un tempo erano utilizzati dai mastri vetrai di Venezia. (articolo sulla Girandola e l'arte pirotecnica).
In basso una galleria con alcune suggestive vedute notturne di Roma con l'evento della Girandola. Se volete, anche un modo per festeggiare le 50.000 visite di questo blog, un risultato inaspettato poco più di un anno fa quando ho iniziato ad inserire "suggestione d'arte". Un ringraziamento, pertanto, va a tutti i lettori, occasionali o meno.



















sabato 26 giugno 2010

La poetica e lo sguardo. Sara Pellegrini e Giuseppe Zupa



Luogo: Officina Solare Gallery Via Marconi, 2 Termoli
Data: 26 giugno / 8 luglio 2010
Orario di apertura: 19.30 /21.30  tutti i giorni compreso festivi
Organizzazione: Nino Barone
A cura di: Tommaso Evangelista
Inaugurazione: sabato 26 giugno 2010, ore 19.00
Info: 329.4217383


 Lo spazio, nell’assenza di una narrazione, può diventare segno sulla tela; questa, percorsa da epopee materiche e minimali, evoca sensazioni che si frantumano sulla soglia della comprensione. Si può pensare di cogliere un orizzonte, il greto arso di un fiume, una successione di colline, le porte d’acciaio d’una fortezza inespugnabile ma non si sta che contemplando la materia in tutte le sue epifanie. Con le opere di Sara Pellegrini siamo sul confine della Storia, nella purezza del dettato astratto e informale, e, parafrasando un testo di Giovanni Pozzi, sull’orlo di un’invisibile parlare poiché l’artista comunica attraverso un silenzioso gioco di tracce. Questi lavori, lontani dalla tragicità e dall’inquietudine di Burri, non accolgono tensioni e contrasti di forze ne tantomeno riordinano impulsi psichici che vengono dal profondo, bensì pervasi da una pacata monumentalità si giovano di un lento accumulo di segni, come se ogni impronta, ogni tacca, ogni brano di terra o di colore fosse il risultato di una diversa era geologica. Il tempo stempera le tensioni e questo senso di serenità dato dal segno puro e dalla materia inerme priva le tele di qualsivoglia drammaticità e ci restituisce una superficie estremamente poetica, da contemplare e non da percepire come forza contraria. In questo caso il critico, o il semplice osservatore, diventa un paleografo alla scoperta di segni di una lontanissima rottura o di orme che rivelino una scrittura dimenticata ancora da tradurre. Dalla materia che avvolge tutta la superficie della tela emergono tracce naturali (le crettature delle terre) o tracce realizzate dall’uomo (incisioni, solchi, tessiture di mosaici immaginari), segni archetipici legati ad una sacralità dispersa. Affiorano parimenti elementi cruciformi tra le vene delle terre, rivelazioni o dimenticanze, impronte liturgiche che il fare artistico propone come tracce sedimentate. La tela diventa un palinsesto materico sul quale noi percepiamo solo lontanamente lo stridio di dissonanze e tensioni; ogni traccia di violenza del gesto, infatti, è annullata da una liricità tutta personale che fa si che emerga un mondo pacificato, forse in lenta decadenza. Dove in Burri si assiste alla degradazione della pittura in materia, a oscura e confusa testimonianza organica, Pellegrini cerca la strada dell’incanto, trasfigurando la materia in poesia. E il tempo? Nell’opera che potrebbe rimandare ai celebri tagli di Fontana, infatti, si rinviene una concezione diversa. Fontana con i suoi tagli ci voleva trasmettere l’idea di una dimensione altra dietro la tela, rompendo l’illusione del supporto; in questo caso, invece, i due tagli sono solchi profondi incisi nella materia che, semmai, rimandano ad un tempo immobile e immutabile. Spostandoci sulle foto, invece, Giuseppe Zupa, abile nella resa dei particolari, ci aiuta a penetrare nelle opere mostrandoci i segni, i grumi, il trattamento della materia e del colore. Accostandoci ai lavori ci nasconde i confini fisici della cornice; questa visione ravvicinata ci aiuta a riflettere sul mezzo e sulla tecnica oppure a vagheggiare su improbabili e fantastici paesaggi, immagini di un mondo dismesso (poiché la mente cerca sempre la forma nell’informe). Le foto aiutano a focalizzarci sui particolari e al tempo stesso ci mostrano una realtà diversa; duplicando una parte dell’opera ne ruba un pizzico di autenticità. Assistiamo in questo modo ad un intelligente gioco di rimandi: abbiamo le opere dal vero e dettagli fotografati, nelle foto osserviamo ciò che potremmo vedere da vicino mentre sulle opere siamo alla ricerca del particolare fotografato. Dov’è allora il reale? Nelle foto che ci svelano il particolare o nelle tele che ci mostrano l’universale? E l’immagine fa parte della stessa opera o è qualcosa di diverso? Tornando al suggestivo e impegnativo titolo della mostra, la poetica è quella dell’artista che lavora col segno e con la materia, a volte con la gestualità della pennellata, altre con un rigoroso ordine estetico; lo sguardo, analitico e indagatore, è quello del fotografo che ragiona sull’immagine e riflette sul dettaglio. Riuscito connubio di due anime alla ricerca.






mercoledì 23 giugno 2010

Le più antiche icone degli apostoli


"Sono le più antiche immagini degli apostoli e risalgono alla fine del IV Secolo". Così Fabrizio Bisconti, sovrintendente ai lavori archeologici delle catacombe di Santa Tecla a Roma ha annunciato la scoperta delle icone di Pietro, Paolo, Andrea e Giovanni, le prime raffigurazioni del volto dei quattro apostoli, nascoste per secoli sotto un cubicolo situato sotto un palazzo risalente agli anni '50. "Per Andrea e Giovanni si tratta delle prime rappresentazioni iconografiche in assoluto, mentre per Pietro e Paolo esistevano già delle rappresentazioni ma mai da soli e mai sotto forma di icona"

C’è voluto il laser per scoprirli, a niente erano serviti bisturi, acqua, nebulizzazioni. Il ritrovamento è stato illustrato ieri da monsignor Gianfranco Ravasi, presidente della Pontificia commissione di Archeologia sacra, monsignor Giovanni Carrù, segretario della stessa commissione, il professor Bisconti e Barbara Mazzei, responsabile del restauro. Tutto è iniziato un anno fa, quando in un angolo della volta del cubicolo gli archeologi avevano scoperto un primo volto, quello di San Paolo. Era il giugno del 2009, da quel momento gli studiosi hanno intuito che nella volta del cubicolo si potevano nascondere altre icone. "Dopo vari tentativi falliti il laser ha fatto centro – spiega Bisconti -. Venuta giù la patina calcarea, abbiamo scoperto nei tre angoli della volta gli altri apostoli e al centro l’immagine del Buon Pastore. Sono le prime rappresentazioni degli Apostoli come icone in assoluto. Ora disponiamo delle più antiche immagini degli apostoli risalenti alla fine del IV Secolo".

I quattro dipinti, come detto, si trovavano sotto un cubicolo fatto edificare da una nobildonna del tardo Impero romano, che commissionò la decorazione della tomba basandosi prettamente su temi biblici. Il cubicolo e l'intera struttura delle catacombe sono situate sotto un palazzo risalente agli anni '50, la cui costruzione non ha danneggiato i reperti archeologici. "Come facciamo ad essere sicuri che si tratti proprio dei santi apostoli? Abbiamo confrontato le immagini con alcune rappresentazioni degli apostoli che possiamo ritrovare a Ravenna e risalenti a qualche tempo dopo complete anche di didascalia. Pietro, ad esempio, è rappresentato con un'immagine stereometrica e con una incipiente calvizie".  Le opere come sottolineato da Bisconti, rappresentano un'importante scoperta archeologica "chi le ha disegnate non era certamente un pittore raffinato, anzi, direi, estremamente corrivo". Nella volta del cubicolo ci sono anche le immagini di una matrona romana e di "un fitto cassettonato che forse imitava la Basilica di San Paolo sappiamo che alla fine del IV secolo era stato ricostruito un "martyrium paolino" e diverse fonti ci dicono che il soffitto era tutti travi e lamine d'oro".  "Il cubiculo - prosegue il sovrintendente Bisconti - emula un mausoleo o una basilica. Vicino c'è l'immagine di un collegio apostolico con cristo al centro tra gli apostoli, come di solito era raffigurato negli absidi delle basiliche romane. La matrona appare ingioiellata insieme alla figlia in atteggiamento orante". "Alla fine di IV secolo a Roma vive San Girolamo, che dà avvio a una sorta di ascetismo quasi monacale, coinvolgendo diverse matrone della città. E la donna sepolta in quel cubicolo poteva essere una di queste aristocratiche che, convertita al Cristianesimo, viaggia poi in Terra Santa per vedere i luoghi degli apostoli. Poi, al ritorno, fa riprodurre le loro immagini sulla tomba. In ogni caso, sono le icone più antiche a figura intera di Pietro e Paolo e, in assoluto, quelle più antiche di Andrea e Giovanni".

Dal link un articolo di Bisconti e Ravasi, tratti dall'Osservatore romano, sulla scoperta del 2009 dell'icona di San Paolo. Anche da RadioVaticana su quest'ultima scoperta. In basso le icone di San Paolo e San Pietro.



giovedì 17 giugno 2010

Le sculture sospese di Claire Morgan

Claire Morgan. L'arte di questo artista mi intriga particolarmente. Poca voglia di scandalizzare e molta ricerca sulla forma, un pizzico di surrealismo e tanta pazienza e inventiva. Le installazioni che riesce a creare, così, sospese nell'aria, diventano immateriali sculture di grande fascino e suggestione. Su acidolatte altre belle immagini.





I restauratori francesi rovinano un Veronese

Gli italiani lo fanno meglio...il restauro, a volte senza soldi, sempre con la spada di Damocle della chiusura di importanti scuole (come l'icr, l'istituto che, sotto Brandi, ha insegnato al mondo le metodologie di un restauro moderno), ma di certo con professionalità ed esperienza che limitano di molto errori e incongruenze. Penso, a riguardo, a cosa è successo in questi giorni in Francia. Hanno suscitato grandi polemiche le operazioni di restauro portate a termine sulla Cena in Emmaus, uno dei capolavori del Veronese del 1660 custodito al Louvre. Gli esperti del museo parigino, dopo un lungo lavoro sull'opera, avrebbero dovuto restituire al quadro forme e colori originali. Invece qualcosa sarebbe andato storto e il volto di una delle protagoniste del capolavoro sarebbe stato stravolto. Come racconta in lungo articolo l'Observer di Londra un primo restauro avrebbe «mutilato parte del suo naso», mentre un secondo intervento avrebbe lasciato la donna «con una narice innaturalmente ampia e con le labbra gonfie». Il risultato, come si vede dall'immagine in basso, è la trasformazione delle fattezze rinascimentali della donna, tipicamente del Veronese, in un qualcosa di eccessivamente lezioso e innaturale come possono essere le fattezze delle donne di un Boucher. Errori grossolani del genere sono quanto di più distruttivo possa accadere ad un'opera d'arte in quanto alterano la sua percezione, veicolando istanze formali diverse. Immagino che Zeri, che tanto ha lottato contro questi restauri invasivi, avrebbe criticato aspramente.




continuando con l'articolo del Corriere:
CRITICI - L'accusa più grave arriva da Michel Favre-Félix, presidente dell'Aripa (Associazione per il rispetto e la salvaguardia dell'eredità artistica) che ha polemizzato sottolineando che i restauratori hanno colpevolmente modernizzato il volto della donna: «Veronese aveva immaginato una madre di nobile famiglia, che richiamava il volto della Vergine Maria. Invece la donna è stata trasformata in una caricatura di un'adolescente del ventunesimo secolo, con guance gonfie e un ridicolo broncio». Alla fine secondo il presidente dell'Aripa con quest'operazione di «modernizzazione» i restauratori hanno falsificato la fisionomia e l'intera espressione della donna e hanno commesso «errori davvero grossolani» . Il museo si è rifiutato di riconoscere che erano stati effettuati due restauri sull'opera nonostante le prove fotografiche dimostrassero chiaramente come il quadro fosse cambiato nel corso del tempo: «Si tratta di un incredibile autogol del Louvre», ha dichiarato Michael Daley, direttore di ArtWatch UK, associazione che supervisiona le arti restaurative e che dedicherà gran parte del prossimo numero della rivista ArtWatch UK Journal allo scempio portato a termine sul dipinto del Veronese. «Dopo le critiche comparse sulla stampa francese a seguito del primo restauro, il Louvre ha deciso di restaurare di nascosto e di nuovo l'opera, ma senza lasciare alcuna traccia di questa decisione».
ERRORI GROSSOLANI - Anche Daley pone l'accento sui «grossolani errori» commessi dagli esperti del Louvre. Dopo aver rivelato che questi ritocchi artistici assomigliano molto agli odierni interventi di chirurgia plastica, ha definito l’intero restauro «ingiustificato e insostenibile». Secondo il direttore di ArtWatch Uk oltre al naso che ha perso la sua fisionomia iniziale, anche le labbra sarebbero state modificate radicalmente diventando gonfie e senza forma: «Si tratta di una versione aliena del XXI secolo», taglia corto Favre-Félix. «Disonora il dipinto del Veronese». Mark Zucker, professore di storia dell'arte alla Louisiana State University e grande esperto di Rinascimento italiano è ancora più tagliente: «Il termine giusto per descrivere ciò che hanno fatto i restauratori è: scioccante».

mercoledì 16 giugno 2010

La promocard del Maxxi


Non so a voi, ma a me la promocard del Maxxi piace da morire; sintetizza appieno la novità e gli obiettivi del museo con la trovata di considerare le forme della struttura canali dai quali passa la fruizione (la vista, l'olfatto, la parola). Naturalmente fa leva sulle qualità dell'architettura (si vedano queste foto dal sito channelbeta) come strumento per colpire i sensi. Vagamente mi ricorda la celebre copertina dei Chemical Brothers Push the button. Da questo link è possibile inviare una cartolina virtuale.

lunedì 14 giugno 2010

Apollo e le Muse - L'enigma di Tintoretto


Nel 1981 Henry John Ralph Bankes, discendente dell’esploratore ed egittologo inglese William John Bankes, lasciò al National Trust la magione di Kingston Lacy nel Dorset: fra i beni contenuti nell’antica casa di famiglia c'era anche un dipinto, originariamente conosciuto come «Apollo e le Muse», che si diceva fosse del Tintoretto, anche se le pessime condizioni in cui era stato tenuto ne avevano reso difficile l’attribuzione ufficiale. Così, il dipinto è rimasto dimenticato in un deposito per 30 anni, fino a quando non si è deciso di mettervi mano con un grosso intervento di restauro costato quasi 45mila euro, eseguito dagli esperti dell’Hamilton Kerr Institute di Cambridge, che hanno rimosso 500 anni di sporco e vernice ormai scolorita.
Al termine del lavoro di recupero, è stato così possibile confermare che si trattava davvero di un’opera del maestro del Rinascimento veneziano, sebbene, analizzandola poi ai raggi X e infrarossi, siano emersi forti dubbi sul simbolismo del quadro e sull’identità dei personaggi raffigurati, tanto da spingere i curatori del «National Trust» a cambiargli il titolo in «Apollo (o Imeneo) che incorona il Poeta dandogli una Sposa» e a chiedere aiuto al pubblico per risolvere il mistero legato al dipinto.

«In questo momento, abbiamo più domande che risposte – ha confermato al "Daily Telegraph" Rob Gray, responsabile della "House and Collections" di Kingston Lacy – e stiamo ancora cercando di capire che cosa significhi il quadro. La prima volta che ci è arrivato, infatti, il dipinto era così scuro che potevi a malapena distinguere le figure, ma dopo il restauro abbiamo cominciato a dubitare del titolo originario e gliene abbiamo dato uno provvisorio». Acquistato da William John Bankes nel 1849, mentre era in esilio a Venezia, il dipinto risalirebbe fra il 1560 e il 1570 e sarà mostrato per la prima volta mercoledì proprio a Kingston Lacy. «Il processo di restauro ha evidenziato i tratti inconfondibili del Tintoretto – ha spiegato a "The Independent" la consulente d’arte Christine Sitwell – ma ha lasciato sconcertati per i contenuti che vi sono raffigurati».

A sorprendere gli esperti, è il fatto che vi fossero rappresentate appena sette Muse (nella mitologia greca erano nove) e che vi sarebbero anche una figura identificabile con Ercole (grazie alla testa di leone e alla pelliccia sopra la testa) che tiene una lancia nella mano destra e un arco con la sinistra e un personaggio dalle fattezze androgine, probabilmente un poeta, mentre ai piedi di Apollo comparirebbero una serie di oggetti inspiegabili, fra cui una coppa, un piatto e una scatola, tutti d’oro. «L’arco in mano ad Ercole è significativo – ha affermato il dottor Paul Taylor, vice curatore del “Warburg Institute” – perché l’Ercole gallico è sinonimo di eloquenza e, quindi, questo lascia supporre che l’uomo incoronato sia uno scrittore o un oratore, mentre le donne che portano i fiori devono essere le Grazie. Anche il fatto che Apollo stia in piedi sugli oggetti in oro è interessante, perché potrebbe indicare il suo aver voltato le spalle alle cose materiali, per raggiungere la gloria». «È senz’altro un’opera di grande significato – ha concluso Alastair Laing, curatore dei dipinti e delle sculture del National Trust – perché Tiziano, Veronese e Tintoretto sono i tre grandi maestri della metà del XVI secolo. Avere un dipinto di Tintoretto in una casa inglese, anziché nella sua location originaria di Venezia o in un museo italiano, è un fatto davvero straordinario, ma ancor più straordinario è che non sappiano ancora per chi o per cosa il quadro sia stato dipinto e cosa rappresenti». (Fonte: Corriere).
Si veda anche Historytimes

Mat Collishaw alla BFI Southbank



Mat Collishaw è stato uno dei protagonisti più trasgressivi della YBA, quando scandalizzava il pubblico e la critica con immagini sessuali ambigue o violente. Nel febbraio 2010 l'artista ha realizzato una significativa personale presso la galleria BFI Southbank, appena conclusa. Il lavoro è ispirato alle opere del regista armeno Sergei Paradjanov e fonde la scultura e l'immagine in movimento in una composizione architettonica strutturata quasi come una pala d'altare. Collishaw fonde la bidimensionalità dell'immagine in movimento con la tridimensionalità della scultura e trasmette poeticamente lo spirito di ricerca artistica di Paradjanov, creando un mondo di fiaba in cui bene e male, sacro e profano, amore e violenza si fondono. Il video è visionabile dal questo link.

venerdì 11 giugno 2010

Performance O-Dio



Interessante riflessione su cosa sia l'odio; naturalmente non ci sono risposte ma solo la trasfigurazione del sentire delle singole persone in arte. Ognuno può inserire ciò che odia di più nella vita e partecipare a questa performance collettiva poichè l'opera prenderà forma attraverso un'investigazione che gli artisti condurranno intorno a ciò che la parola odio evoca in un individuo. Il tema è proposta dalla "Noc z performance" e partecipano, su invito, artisti provenienti da tutta Europa.Tra gli artisti italiani invitati, il duo Nicola Macolino - Azzurra De Gregorio.

PROGETTO/PERFORMANCE:
O - DIO

Odiare è semplice. Nel nascosto del proprio inconscio, il sentimento vive, come un batterio indisturbato, si nutre divorando pezzo a pezzo, in silenzio e nel buio. Per questo odiare è semplice, ma molto più difficile è capire cosa si odia sul serio. Si odia quella persona o la nostra inadeguatezza nei suoi confronti? Si odia quel determinato sentimento o la nostra paura di viverlo?
Sta di fatto che se si riesce a comprendere per un solo attimo ciò che si odia veramente, se si riesce ad esplicitarlo, in quel preciso istante l'odio cambia.
La parola il pensiero uscito dalla stanza buia del nostro inconscio acquisisce un anelito di luce e già cambia natura intraprendendo il suo dissolvimento.
Il progetto/performance che gli artisti propongono, segue questo percorso psicologico, ma anche antropologico, che idealmente la mostra stessa incomincia, l'odio quando è esplicitato è già sulla strada della propria illuminazione, e quindi della propria fine.
L'opera infatti, prenderà forma attraverso un'investigazione che gli artisti condurranno intorno a ciò che la parola odio evoca in un individuo. Verranno interrogate quindi (attraverso vari mezzi: social networks, posta elettronica, interviste dirette, fogli di carta etc.) diverse persone, un numero non definito. A tutti verrà rivolta una domanda semplice, e a bruciapelo, "Cosa Odi?" L'importante è che rimanga una traccia tangibile delle opinioni di ciascun "partecipante".
La stessa cosa proseguirà nei giorni di permanenza in Polonia fino alla fase finale del progetto, nella Galleria d'Arte.
Qui tutti i concetti raccolti rivivranno esteticamente (attraverso l'uso di luci e proiezioni) negli spazi della Galleria incrociandosi e intrecciandosi tra di loro, creando nuove frasi, nuovi significati.
L'attore li raccoglierà, si farà carico sciamanicamente del messaggio e lo condurrà in alto. Col fuoco, con l'aria. (Tutto il materiale raccolto e storicizzato artisticamente in Galleria, volerà con un enorme pallone nel cielo)
L'odio viene accompagnato dal basso all'alto. Dal terrigno all'etereo, dal buio all'atmosfera. E questo rito psicomagico interpreterà l'essenza stessa dell'odio: un sentimento che vive nell'essere recondito, che nella sua pesantezza si lega alla terra (e spesso alle cose terrene) ma che ha la potenza di poter bruciare, infiammarsi, quindi volare, quindi creare. Come diceva Karl Kraus : "L'odio deve rendere produttivi. Altrimenti è più intelligente amare."Il tutto con la consapevolezza della esistenza di una complementarietà degli opposti, della compresenza di due principi che mai possono essere considerati definitivi, ma sono sempre in continua trasformazione. Il progetto è una sorta di work in progress che ricaverà la sua forza dalla relazione diretta ed immediata con il pubblico che parteciperà all'evento, sarà inoltre un atto performativo creato grazie all'energia degli artisti e a quella dei fruitori della loro opera. (Fonte).

Si può scrivere ciò che più si odia su questo link: http://www.nicolamacolino.org/messaggi/index.asp

giovedì 10 giugno 2010

Cleofino Casolino - Tra Provele e Talaragne...


I lari di Cleofino. 

Il titolo della mostra di Cleofino Casolino, Tra polvere e ragnatele, rimanda con vividezza all’idea di un viaggio tra i ricordi di un passato divenuto luogo d’elezione d’una sacralità tutta personale. Impressioni momentanee fermate nella terracotta e oggetti comuni (telai, ruote, un pezzo di muro spatolato) dialogano con curiosa e semplice armonia in quello che si può definire quasi un flusso di coscienza reso visibile e tangibile. La nostalgia di minimali momenti d’esistenza, di certo più innocenti della nostra condizione presente, viene suggerita da un percorso emozionale, ludico ed antiquario allo stesso tempo, dove le sculture sono solo la parte d’un discorso interiore ben più profondo. Quali sono le vere opere d’arte? Ogni elemento è la tessera di un cammino nella memoria dove la rappresentazione delle cose assume contorni vaghi e gli oggetti diventano enti carichi di suggestioni. Ogni elemento è un manufatto dell’uomo, che vi sia o meno intenzionalità estetica, e deve essere valutato innanzitutto come esperienza; ed è proprio all’esperienza personale dell’artista che dobbiamo guardare per decifrare il rebus che l’installazione ci presenta. Come illustra Dewey nel suo fondamentale testo Art as Experience “Attraverso l'arte significati di oggetti che altrimenti sono muti, indeterminati, ristretti e contrastanti, si chiariscono e si concentrano; e non mediante un laborioso affaccendarsi del pensiero intorno ad essi, non mediante il rifugio in un mondo di mera sensazione, ma attraverso la creazione di una nuova esperienza”. Un altro passo ci aiuta a comprendere l’importanza di questi oggetti del vissuto: “quando la struttura dell’oggetto è tale da far sì che la sua forza in teragisca felicemente (ma non con semplicità) con le energie che si sprigionano dall’esperienza stessa; quando le loro reciproche affinità e i muti antagonismi operano insieme per determinare una sostanza che si sviluppa progressivamente e costantemente (ma non in maniera troppo rigida) verso la soddisfazione di impulsi e tensioni, solo allora c’è un’opera d’arte”. 

E poi ci sono le sculture. Probabilmente, decifrando le intenzioni dell’artista, non andrebbero analizzate singolarmente, al di fuori di quest’unica e vitale installazione, parimenti però riescono a comunicare anche singolarmente. Se gli oggetti comuni rimandano al tempo, queste si giovano dello spazio che occupano e della materia trasformata in figura. Sarebbe riduttivo vedere nel loro stile tracce di un realismo magico o, per inverso, di un primitivismo concreto. Certo, colpisce trovare nell’Attesa la nobile ieraticità del celebre busto di Eleonora d’Aragona di Palazzo Abatellis o rinvenire nell’Austerità le movenze, ormai infrante, della Nike di Samotracia o ancora scorgere nei visi la dolce severità di Uta di Naumburg e, in generale, della statuaria tardo gotica. Sarebbe interessante un paragone con il trattamento impressionistico della materia di Medardo Rosso o con la linea pura e primitiva di Modigliani, però ogni tentativo di classificare queste figure sarebbe un’inutile tassonomia che non porterebbe al cuore dell’esperienza artistica e personale di Cleofino. Ritengo che queste sculture debbano essere intese semplicemente come oggetti, frammenti di un discorso che parte da lontano, nei meandri dei ricordi, e che, solo per un “accidente” del destino, assume forme che noi riconosciamo come artistiche; sono figure “che accadono” e che proprio nella spontaneità custodiscono la loro forza. Le sagome, a volte armoniche a volte incredibilmente in tensione ma sempre pervase da un’inconscia sostenutezza formale, sono sopravvivenze, archetipi immersi nel sacro. Nel periodo analizzato da Belting ne Il culto delle immagini, le icone non erano considerate "arte" ma oggetti di venerazione che recavano in sé una tangibile presenza del sacro; parimenti i Lari, le statuette di legno, cera o terracotta che nella società romana raffiguravano gli spiriti protettori degli antenati defunti, raramente presentavano spiccate qualità estetiche a fronte di una consistente valenza affettiva e devozionale. In quanto effigi di ricordi, allora, perché non considerare le sculture di Casolino come lari moderni? Del resto quando le memorie diventano segno, quando gli spiriti –interiori- diventano immagine e l’esperienza modella la materia è sempre l’arte a parlarci.
Il servizio televisivo sulla mostra di TeleMolise. La galleria fotografica.


L'inserzione sul numero di giugno della celebre rivista d'arte Juliette. Dentro/Fuori dal Segno, a cura di Tommaso Evangelista.

mercoledì 9 giugno 2010

Un museo sulla Luna in un chip

Il museo d'arte contemporanea più piccolo dell'universo starebbe sulla Luna e sarebbe contenuto in un chip trasportato clandestinamente dall'Apollo 12 nel 1969. Questo chip conterrebbe sei opere tra schizzi e bozze di Andy Wahrol (il fallo), Claes Oldenburg, Robert Rauschenberg, David Novros e John Chamberlain.

Durante gli anni 1960, Myers – insieme a centinaia di altri artisti di New York – avrebbe lavorato con gli ingegneri di Bell Labs ad alcuni «esperimenti» del programma Arte e Tecnologia. Secondo le prove raccolte dalla PBS, il programma dei Bell Labs prevedeva la riduzione di bozze e schizzi d'arte e il successivo inserimento all'interno di un chip rettangolare in ceramica grande un centimetro circa. I due ingegneri a capo del programma, come in tutti i gialli che si rispettino, sono deceduti. Ma uno di questi chip, del quale Myers e altri avrebbero delle copie, sarebbe stato imbarcato di nascosto sull'Apollo 12, con l'intento di lasciarlo sulla Luna a missione compiuta. «Per noi, in quei giorni – ha raccontato Myers –, lo sbarco luna era la cosa più eccitante mai avvenuta. Gli artisti volevano solo essere parte di essa». Lo stesso Myers è uno dei sei artisti che insieme a Warhol, Claes Oldenburg, Robert Rauschenberg, David Novros e John Chamberlain, avrebbero realizzato le opere. I rappresentanti di Oldenburg e Chamberlain hanno confermato a usa Today che gli artisti da loro rappresentati avrebbero contribuito al progetto. (fonte: artestetica)



martedì 8 giugno 2010

Maxxi Ipermuseo



Come ha già riferito Germano Celant sulle pagine de L'Espresso il Maxxi, a differenza del castello di Rivoli, il primo e più importante centro per l'arte contemporanea in Italia, deve ancora dimostrare di essere un centro propulsivo per l'arte e scrollarsi di dosso l'immagine di involucro vuoto e fine a se stesso. Un primo risultato, però, l'ha già ottenuto: grazie all'enorme dibattito che si è aperto in questi giorni in concomitanza con la sua apertura è stato creato un nuovo termine. Lo dice l'Osservatorio della Lingua Italiana considerando il neologismo IPERMUSEO. La segnalazione è riportata sul sito della Treccani sotto la voce Neologismi della settimana:
ipermuseo
L'era dell'ipermuseo. In principio fu il Beaubourg di Parigi. Poi arrivarono il Guggenheim di Bilbao e lo Jüdisches Museum di Berlino. Oggi con il Maxxi e il Macro di Roma anche in Italia sbarcano i centri espositivi firmati da archistar.

La stampa estera, intanto, è divisa sull'opera. Per leggere i vari articoli e seguire le varie fasi della polemica, si rimanda invece a quest'altro articolo di Repubblica: il Dibattito.

giovedì 3 giugno 2010

Incompiuto Siciliano


C'è lo stile arabo-normanno di Palermo (X sec.), il Barocco di Noto (XVIII sec.) e poi c'è l'incompiuto siciliano (naturalmente il sito è in costruzione) che, senza ironia, si può definire lo stile architettonico italiano più importante della seconda metà del XXI sec. e paradigma interpretativo per leggere il paesaggio italiano dal dopoguerra a oggi. Ogni secolo ha il suo stile architettonico e i suoi monumenti, forse la nostra civiltà, aldilà di modernismi e archistar, è veramente legata a queste realizzazioni, di certo frutto di un mal costume diffuso, che il collettivo Alterazioni video cerca di pubblicizzare e far conoscere. E' un'indagine sul fenomeno delle opere pubbliche incompiute che cerca di conferire valenza estetica a edifici che, altrimenti, sarebbero solo un memoriale agli sprechi del nostro paese. Se non si possono abbattere, almeno si possono valorizzare.
Esiste anche una Fondazione; la Fondazione ha come obiettivo la conoscenza e lo studio dello stile dell'Incompiuto Siciliano e promuove la realizzazione del Parco dell'Incompiuto Siciliano a Giarre, centro d'eccellenza dello stile incompiuto, attraverso operazioni culturali e artistiche che mirano a cambiare la percezione delle opere incompiute, per una trasformazione responsabile del territorio. Presso la Fondazione ha sede l'osservatorio nazionale del fenomeno dell'incompiuto. Incompiuto Siciliano è un progetto nato da un'idea di Alterazioni Video: Paololuca Barbieri, Alberto Caffarelli, Matteo Erenbourg, Andrea Masu,Giacomo Porfiri. E realizzato in network con:, Claudia D'Aita, Enrico Sgarbi.




Incompiuto Siciliano è lo stile architettonico italiano più importante dal dopoguerra ad oggi.

L'incompiuto Siciliano è il paradigma di lettura del paesaggio italiano contemporaneo e indaga il fenomeno delle opere pubbliche incompiute.

Dalla ricerca svolta negli ultimi 4 anni le opere incompiute ci appaiono come monumenti della società post-moderna, rovine del '900, luoghi di una memoria collettiva ancora da indagare.

La definizione di uno stile architettonico proprio permette di individuare un modello teorico di riferimento in grado di fornire un paradigma interpretativo di un fenomeno presente su tutto il territorio nazionale e in particolare in quello siciliano, tipico degli anni 70/80 ma che è possibile rintracciare dagli anni 50 fino ad oggi; uno strumento per interpretare la storia recente del nostro Paese.

Il progetto muove dall’idea di lavorare in primo luogo sulla percezione del fenomeno a livello mediatico con la finalità di sviluppare in secondo luogo un intervento diretto sul territorio locale.

Attribuire all’”incompiuto” un significato artistico e architettonico significa escogitare un altro modo di leggere questi luoghi, utile per una comprensione più ampia e problematizzata dei rapporti tra il territorio e coloro che lo abitano.

Le opere pubbliche incompiute sono un patrimonio artistico-culturale e in quanto tale divengono potenziali promotori di un’economica locale al pari di altri siti storici del nostro territorio. 
Il progetto di costituire un vero e proprio parco archeologico, in collaborazione con il Comune di Giarre, vuole essere il risultato concreto di un'operazione di storicizzazione e rivalutazione del territorio e delle opere incompiute. Una soluzione concreta alla sensazione di sconfitta a cui questi luoghi preludono. 

La spinta creativa, il desiderio di autocelebrazione e la profonda cultura, caratteri che hanno reso la Sicilia e gli Italiani famosi nel mondo, riemergono nel progetto del “Parco Archeologico dell'Incompiuto”: un intervento di sviluppo sostenibile del territorio orientato alla promozione turistica, riconoscendo le opere incompiute come risorse.


(Il manifesto completo)


mercoledì 2 giugno 2010

The Essence of Decadence. Fotografare la malinconia

La mostra fotografica The Essence of Decadence, inaugurata sabato 29 maggio a Venezia dall'associazione culturale Il Concilio Europeo dell'Arte nel suo spazio espositivo "In Paradiso", ha il pregio di presentare scatti che, in modo estremamente filologico, interpretano significative tele della fin de siècle (Klimt, Schiele, ecc.). Tania Brassesco e Lazlo Passi Norberto ne sono gli autori e dietro a ogni immagine ci sono pazienti ricerche: dagli studi sulla luce dei dipinti da riprodurre nella fotografia a quelli sui tessuti, le acconciature, le espressioni delle donne: "Abbiamo pensato che il Decadentismo fosse il periodo adatto da reinterpretare perché rispecchia l'epoca di crisi culturale e politica in cui viviamo oggi - spiegano gli autori - Il nostro obiettivo è quello di riproporre, con la fotografia, quella sensazione di tedio e malinconia evocata dagli artisti della fin de siècle." Da i confronti qui in basso si può notare la riuscita operazione e la focalizzazione sull'universo femminile. I gesti, le pose, le espressioni malinconiche raccontano più di mille romanzi. (Le foto).










martedì 1 giugno 2010

Le "Gallerie" d'arte in Trentino. Dal traffico all'arte

Due gallerie autostradali dismesse e trasformate in gallerie d'arte. E' il progetto realizzato a Trento, nella zona di Piedicastello, che dopo aver conquistato gli appassionati di architettura italiani - ha vinto un sondaggio della rivista Abitare - approda oltreoceano. A occuparsene è la Columbia University, che alle gallerie di Piedicastello dedica un seminario in questi giorni. Giuseppe Ferrandi e Patrizia Marchesoni, direttore e vicedirettrice della Fondazione Museo Storico del Trentino, insieme a Luca Dal Bosco di FilmWork, spiegheranno, nella sale dell’Italian Academy della Columbia University, il senso del progetto che affascina la Grande Mela, dove gli esempi di riutilizzo creativo non mancano, a cominciare dalla Highline, la linea ferroviaria in disuso trasformata in parco urbano. Le Gallerie (significativo riusco del termine, in questo caso gallerie reali e non d'arte ma trasformate in spazi espositivi)  sono due tunnel stradali lunghi 300 metri ciascuno leggermente curvati che corrono perfettamente paralleli sotto il Doss Trento, la verruca a fianco dell’Adige sulla cui sommità si erge il mausoleo a Cesare Battisti . Nel 2007, chiuso il traffico e deviata la tangenziale, tale spazio è diventato un luogo immenso e ricco di suggestioni. La superficie complessiva supera i 6000 metri quadrati ed è suddivisa in due tunnel, la Galleria Bianca e la Galleria Nera. L'entrata principale è posta a poche decine di metri dalla chiesa romanica di S. Apollinare e dalla piazza di Piedicastello: due grandi portoni permettono di accedere agli spazi espositivi. Le Gallerie ora propongono le mostre "Storicamente ABC", un abecedario sulla storia trentina per raccontare, riflettere, emozionare, e "L'invenzione di un territorio", sul lento lavoro di costruzione di un'entità territoriale. Non conoscevo questo spazio espositivo e debbo dire che ne sono rimasto molto colpito. (Foto)




Vanitas per iphone

Come tutti gli oggetti cult anche l'iphone corre il rischio di essere amato al di là delle sue reali funzioni e utilizzazioni; a ricordarci come questo telefono sia pur sempre un oggetto ci pensa un'app realizzata da tale of tales. L'app si chiama Vanitas ed è ispirata alle nature morte (in particolare nordiche e olandesi) del '500 e del '600. Si tratta di un memento mori da portarsi sempre dietro e vede, in una scatola di legno tipicamente fiamminga (ma più minimale), la presenza di svariati oggetti tipici delle vanitas (qui sintetizzata l'evoluzione) (la bolla di sapone, il teschio, la piuma, il campanellino, ecc.). Di seguito alcune immagini dell'applicazione confrontate con vanitas reali.







E per restare in tema con l'arte segnalo queste altre due app per iphone: 

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